Olga benario

Olga benario
rivoluzionaria e martire

giovedì 22 gennaio 2009

comunismo oppure?

e se leggessimo i contemporanei a cominciare da Vandana Shiva?
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Ieri ricorreva l'anniversario della scissione di Livorno che dava vita, dal troncone del socialismo italiano spesso rinsecchito o in grande disordine, il Partito Comunista che veniva subito calamitato dalla immensa attrazione della rivoluzione d'ottobre e della costruzione del primo stato comunista del mondo.Ho visto assieme ad altri compagni un vecchio film sulla vita in carcere di Antonio Gramsci che era contrario alla frattura del gruppo dirigente bolscevico ed alla svolta negativa verso i socialisti. Gramsci non si rendeva conto del fatto che il comunismo era diventato Stato e che le sue critiche esponevano a gravi pericoli i compagni italiani che venivano in contatto con l'URSS ed il Comintern essendo il PCUS in grado di sopprimere o carcerare i dissidenti e gli oppositori. Togliatti aveva capito perfettamente come stavano le cose e si accingeva a trascorrere la lunga notte dello stalinismo, i processi del 36, lo scioglimento e la soppressione dei Comitati Centrali di tanti partiti comunisti del mondo. L'involuzione autoritaria del comunismo in stalinismo ha anche una responsabilità esterna nell'accerchiamento e nell'embargo di tutto il mondo capitalistico. Può, per fare un esempio, Cuba essere democratica senza correre il pericolo mortale di essere distrutta nel giro di pochi mesi dagli Usa? In fondo l'intolleranza ideologica spinta fino alla guerra ha dato alle oligarchie dei partiti comunisti al potere l'alibi per giustificare la mancanza di libertà e democrazia. Altro esempio: Gli Usa non hanno forse soppresso diritti fondamentali dei cittadini con la Patriot Act? Il sospetto che ha dato luogo a tanti drammi dello stalinismo non è lo stesso di quello che tiene chiusi a Guantanamo e in tante altre carceri segrete i "terroristi". Perchè dopo anni di detenzione molte persone non sanno ancora la ragione della loro prigionia? Domanda: un Paese comunista non accerchiato e non embargato potrebbe essere luogo di libertà dei suoi cittadini? Non lo sappiamo!!
Possiamo certamente affermare che, in tutti i paesi in cui il comunismo ha conquistato il potere, c'è stata una degenerazione verso l'oligarchismo e verso dittature personali alcune delle quali addirittura grottesche e quasi al limite della caricatura. Una società comunista non si può costruire con un partito unico senza degenerare subito in regime. I poteri del partito unico finiscono sempre con il sovrastare i poteri dello stato ed i diritti dei cittadini i cui meriti non possono essere misurati dal grado di loro fedeltà al Partito. Un'altra degenerazione è partita dal controllo statale di tutte le risorse economiche che ha portato a situazioni quasi comiche per non dire tragiche per l'impossibilità di reperimento dei prodotti dovuta a difetti della pianificazione. Dobbiamo trarre insegnamento dalla gravissima condizione dei lavoratori e dei contadini cinesi costretti a costruire una società capitalistica tra le più orrende da un Partito Comunista che ha nel suo programma la ricchezza nazionale detenuta da pochi miliardari a prezzo della schiavitù di milioni di persone e dello sconvolgimento della stessa identità della Cina diventata un mostruosa
iperindustrializzata ed inquinata terra di infelici. La costruzione del capitalismo dal Partito Comunista cinese è una delle più inaccettabili realtà della globalizzazione.
Insomma, credo che si dovrebbe aprire una discussione su alcuni punti essenziali partendo dal rifiuto delle omologazione liberista fatta dal PD ed in parte accettata da Sinistra Democratica e dagli scissionisti di Vendola. L'alternativa al comunismo parola indicibile di Bertinotti non può essere il liberismo edulcorato ma rigido ideologicamente di Obama. Dobbiamo parlare di alcune cose: la prima: dobbiamo avere un partito unico in uno Stato "comunista"?, La seconda: la proprietà dei mezzi di produzione deve essere tutta dello Stato oppure è possibile una economia basata sul pubblico e sul privato?
La qualità dei consumi di una società comunista deve essere o no completamente diversa da quelli attuali? Fino a che punto si può consentire la proprietà privata? Fino a che punto si può essere poveri in una società comunista?
Insomma se non ri risolvono i problemi del ruolo del Partito, dello Stato e dell'economia,
non potremo avviarci verso qualcosa dentro la quale come diceva Gramsci c'è un seme che può essere un fiore ma anche una erbaccia velenosa.
Pietro Ancona
socialista.

mercoledì 14 gennaio 2009

fini con i massacratori israeliani

----- Original Message -----
From: pietroancona@tin.it
Sent: Thursday, January 15, 2009 1:29 AM
Subject: Manifestazione per la guerra con Fini a Montecitorio






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Il presidente della Camera dei deputati è sceso per stare un pò insieme e farsi fotografare con i caporioni
della manifestazione pro-Israele, fitta di bandiere israeliane, organizzata a Roma, in luogo generalmente vietato a tutti ,davanti Montecitorio, da una associazione parlamentare di ammiratori di Israele composta da deputati e senatori di vari gruppi di maggioranza e di opposizione.
Debbo dire che la cosa mi ha impressionato ed impaurito. Impressionato perchè mentre la folla si raccoglieva attorno ai rappresentanti della Comunità Ebraica italiana e dell'Ambasciata di Israele si potevano quasi avvertire nell'aria, con un minimo di sensibilità umana di di immaginazione, le deflagrazioni paurose, il crollo dei palazzi, il lamento dei feriti, lo spavento di oltre un milione di persone aggredite da carri armati mostruosi, da aerei supersonici che effettuano centinaia di missioni di bombardamento, da cannonate sparate da navi piazzate nel mare antistante gaza. Una mattanza di esseri umani difesi da un pugno di guerriglieri privi di armamento pesante che, quasi con le nude mani, affrontano il nemico che oramai si è infiltrato per le vie devastate della città. Non c'era un solo cartelllo che chiedesse pietà per questa popolazione. a Piazza Montecitorio era un unico urlo di feroce incitamento a vincere al più presto lo scontro chiamato "guerra" di odio verso i "terroristi" di Hamas, di volontà di sopraffazione per la "sicurezza" di Israele che, se necessario, vale la vita della umanità intera e per subito quella di oltre trecento bambini e quasi cinquemila tra morti e feriti che morranno presto a causa delle armi DIMA usate da un esercito post nazista privo di scrupolo ed incurante delle regole e del diritto internazionale. Impaurito, si, la manifestazione mi ha impaurito. E' la prima volta che una alta autorità dello Stato, il Presidente della Camera, interviene coinvolgendo il Parlamento a sostenere le ragioni di uno Stato che in atto risulta al mondo come aggressore e genocida. E' vero che ieri Fini ha rivendicato al Parlamento di non essere un organismo al servizio del governo Berlusconi privo di diritto di parola. Ma la sua protesta non ha avuto seguito. Si è adeguato alle direttive della maggioranza di cui fa parte e addirittura ha permesso che uno dei portavoce della maggioranza definisse di valorizzazione la richiesta di fiducia chiesta alla Camera. Insomma, la Camera si doveva e si deve sentire onorata di votare senza battere ciglio e senza discutere gli ordini che vengono dal Cav.Berlusconi. Non credo che ci sia stato qualcosa di simile in tutta Europa. Non credo che si siano fatte manifestazioni probombardamenti della Palestina con la presenza di un cosi autorevole esponente dello Stato. Colpisce il silenzio del Presidente della repubblica che non ha mosso finora un dito e non farà nulla per criticare la scelta guerrafondaia e genocida fatta dal Parlamento e per difendere le istituzioni parlamentari dalla prepotenza del governo-regime.
In Italia c'è l'anomalia di una Comunità Ebraica che non è più quella civile democratica e amante della libertà di Tullia Zevi e di Elio Toaff. E' una Comunità che difende senza se e senza ma il diritto di israele di eliminare i suoi "nemici" ed attacca violentemente coloro che si permettono qualche dubbio, che invitano a ragionare a non buttare benzina sul fuoco come fa scontandone tutti gli ostracismi Massimo D'Alema.
Quanto è accaduto stasera davanti a Montecitorio è destinato ad incidere profondamente sulla qualità della nostra cittadinanza, sulla coerenza tra questa e la carta Costituzionale, sul futuro di un Paese che si colloca
nella frontiera più avanzata del razzismo
la frontiera militare. Il massacro di Gaza ha infatti un carattere razzistico e di intolleranza fisica a sopportare che non fa parte della gens occidentale, della sua cultura, dei suoi valori. Come lo sterminio di milioni di irakeni e di afghani, le stragi di Gaza esprimono una volontà di dominio coloniale e di sterminio per chi vi si oppone.

Pietro Ancona presidente umanitaria palermo
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it

domenica 11 gennaio 2009

VANDANA SHIVA

InDalla connessione tra sostenibilità ecologica e giustizia sociale, al nesso tra riduzionismo scientifico e rimozione di tutti i limiti etici allo sfruttamento della natura, fino al concetto di «malsviluppo»
I «poveri» sostiene Vandana Shiva, non sono coloro che sono «rimasti indietro» perché incapaci di giocare le regole del capitalismo, ma quelli che sono stati esclusi da ogni gioco e a cui è stato impedito l'accesso alle proprie risorse da un sistema economico che erode il controllo pubblico sul patrimonio biologico e culturale. Stare «dalla parte degli ultimi» (come recita il titolo di un suo recente libro pubblicato dalle Edizioni Slow Food) non significa dunque dare di più a chi ha meno, ma restituire ciò che è stato sottratto con la forza di leggi ingiuste, difendere i beni comuni dall'assalto avanzato dalla globalizzazione neo-liberista, impedire la brevettabilità delle forme di vita e di conoscenza e costruire una nuova democrazia ecologica. Una democrazia che difenda la biodiversità e riconosca il reciproco condizionamento tra sostenibilità ecologica e giustizia sociale.
Abbiamo chiesto a Vandana Shiva, che da decenni continua a rivendicare il diritto di ogni essere umano a opporsi e resistere - in senso gandhiano - alle leggi che lo esautorano dei suoi diritti, di rispondere ad alcune domande sulla sua pratica di scienziata e attivista.

Una delle questioni che lei tende a sottolineare con più insistenza è l'intima connessione tra sostenibilità ecologica e giustizia sociale. Come spiegherebbe questa connessione a quanti continuano a ritenere che si tratta di ambiti del tutto separati e tra loro impermeabili?
Per la maggior parte dei poveri la connessione è evidente, perché le risorse naturali ed ecologiche costituiscono la fonte principale del loro sostentamento, e quando qualcuno se ne appropria indebitamente questo porta da un lato all'insostenibilità ecologica e dall'altro all'ingiustizia sociale ed economica. Mi lasci fare due esempi: se la Coca Cola estrae giornalmente con i suoi impianti milioni di litri d'acqua di cui beneficia di solito una certa comunità, così facendo distrugge il sistema idrico di quella comunità e allo stesso tempo causa una nuova forma di ingiustizia sociale ed economica. Oppure prendiamo la questione della terra: in Bengala, di recente il gruppo Tata ha cercato di appropriarsi della terra dei contadini, ma la sottomissione agli obiettivi dell'industria automobilistica di una terra che offre sostentamento a migliaia di persone non solo toglie fertilità a quella terra e crea una produttività insostenibile dal punto di vista ecologico, ma determina anche una grave ingiustizia sociale. Ed è proprio contro questa ingiustizia che hanno combattuto, organizzandosi, i contadini del Bengala, impedendo alla Tata di costruire sulle loro terre. Sono soltanto due tra i numerosi esempi che dimostrano, tra l'altro, come sostenibilità ecologica e giustizia sociale siano connesse alla pace, perché è proprio dall'ingiustizia sociale e dalla crescita della disuguaglianza che trae origine il fondamentalismo.

Secondo l'analisi che svolge nel «Bene comune della terra», «la globalizzazione economica si configura come una nuova forma di "enclosure of the commons", la recinzione delle terre comuni britanniche», ed è volta a privatizzare ogni aspetto della nostra vita, dall'acqua che beviamo alla biodiversità, dal sistema educativo al patrimonio culturale. Ci può spiegare in che modo la globalizzazione è legata alla recinzione dei beni comuni dell'Inghilterra del XVI secolo e quali sono le sue attuali manifestazioni?
In Inghilterra, con le recinzioni dei beni comuni ci si è appropriati delle terre dei contadini trasformandole in terreni per la produzione di materie prime destinate all'arricchimento della borghesia emergente e al funzionamento dell'industria tessile. Negli ultimi decenni, attraverso le leggi sulla proprietà intellettuale promosse dal Wto e grazie alle condizioni finanziarie imposte dalla Banca Mondiale con i piani di aggiustamento strutturale e i processi di privatizzazione sono stati inclusi nelle recinzioni proprietarie dei beni di nuovo tipo. Quelli ai quali ho rivolto in particolare la mia attenzione sono le risorse viventi: i sistemi viventi grazie ai quali il pianeta si mantiene vivo e che sono indispensabili per soddisfare i nostri bisogni fondamentali sono stati dichiarati proprietà intellettuale, come fossero una creazione delle corporation: oggi è la vita stessa come bene a venire privatizzata; inoltre, dal momento che i sistemi viventi si accompagnano a particolari tipi di sapere e conoscenza, e che dunque specifici sistemi di conoscenza sono associati a specifiche forme di vita, si cominciano a recintare anche il sapere e i beni intellettuali. È ormai evidente che siamo di fronte a un assalto sferrato verso l'atmosfera così come verso l'aria che respiriamo: le grandi industrie prima recintano l'aria inquinandola e trattandola come un oggetto già morto e di loro proprietà, e poi, una volta che l'inquinamento raggiunge un livello da caos climatico, pensano di farne materia di scambio commerciale. La possibilità di comprare e vendere quote di emissioni inquinanti dimostra che tutti gli attori coinvolti nelle discussioni relative ai protocolli sui cambiamenti climatici credono davvero che sull'atmosfera si possano esercitare diritti di proprietà. Quella compiuta da un manipolo di industrie inquinanti è solo l'ultima, clamorosa forma di recinzione dei beni comuni.

Lei è sempre stata molto critica nei confronti del riduzionismo della scienza meccanicistica figlia della rivoluzione scientifica. Ci spiega perché ritiene che il riduzionismo non sia «semplicemente un incidente epistemologico, ma la risposta ai bisogni di uno specifico tipo di organizzazione economica e politica», e perché crede che la scienza moderna costituisca «una giustificazione etica e gnoseologica allo sfruttamento delle risorse» comuni?
Sono molti i modi attraverso i quali l'emergere della scienza meccanicistica - e della filosofia riduzionista che ne è alla base - finisce per integrarsi alla crescita dell'organizzazione economica che definiamo capitalismo, promuovendone le regole di funzionamento e favorendone gli interessi. Innanzitutto, l'orientamento riduzionista consente che vengano rimossi tutti i limiti etici allo sfruttamento della natura. Nel periodo in cui questa ideologia andava formandosi, gli scienziati sostenevano che le culture fondate su una visione olistica della natura e del rapporto tra la natura e l'uomo ne ostacolavano lo sfruttamento; per questo è stato necessario un assalto all'idea degli esseri umani come parte della natura e a quella della natura come organismo vivente: la natura è stata uccisa e la terra mater convertita in terra nullius, una terra vuota, priva di capacità produttiva e creativa, un mero amalgama di materie prime. Inoltre, il riduzionismo e la filosofia meccanicistica permettono di esternalizzare i danni dello sfruttamento: il riduzionismo prima fa in modo che la vita possa essere sfruttata e distrutta, e poi, tagliando e sezionando la realtà, fa sì che si possano chiudere gli occhi sulle conseguenze delle nostre azioni. Questo meccanismo viene adottato anche in altri campi: i sistemi viventi sono sistemi complessi, altamente differenziati, che si auto-organizzano, ma l'ingegneria genetica considera le piante come un mero insieme di atomi chiamati geni, che possono essere sezionati, tagliati e spostati, come pezzi di un «Lego», senza conseguenze. Ora, se i contadini indiani muoiono a causa dei prodotti dell'ingegneria genetica, il riduzionismo permetterà di negare che le cause siano da attribuirsi alla tecnologia in sé, attribuendole ad altri fattori. Il riduzionismo, poi, opera come una vera e propria ideologia perché si presenta come l'unica scienza degna di questo nome, assoggettando a sé tutti gli altri sistemi di conoscenza (che sono altrettanto, se non più complessi), oppure negando che si tratti di vera scienza.

La degradazione della natura, il passaggio forzato da terra mater a terra nullius è stato condotto anche attraverso quel processo che in «Sopravvivere allo sviluppo» lei ha illustrato introducendo il termine di «malsviluppo», con il quale indica «un modo di conoscenza mascolino», «un modello di sviluppo patriarcale». Ci spiega in che modo «il "malsviluppo" confina le donne alla passività»?
Ho adottato il termine «malsviluppo» per indicare uno sviluppo deforme, un malfunzionamento del sistema, e per tracciarne il legame con un approccio patriarcale, che combina la dominazione sulle donne a quella del capitale sulla natura e sugli individui. Il «malsviluppo» confina le donne nella passività innanzitutto trattando la loro conoscenza come se non esistesse. Negli ultimi trentacinque anni ho lavorato con tantissime donne e mi sono sempre più convinta che siano loro i «veri esperti», le uniche in grado di conoscere il funzionamento di un sistema e i modi per proteggerlo, e che il mondo sia in gran parte «prodotto» dalle donne. Ciò nonostante, il sistema di pensiero riduzionista e l'organizzazione economica capitalista hanno escluso o sottostimato i contributi delle donne inducendoci a credere che il lavoro, fondamentale, di «mantenere la vita» non sia un vero e proprio lavoro, perché non produttivo. Secondo quel sistema di pensiero infatti una donna che mantiene la propria famiglia non produce nulla, e una comunità che soddisfa tutti i propri bisogni alimentari ma non vende o compra alimenti non produce cibo e non contribuisce alla «crescita» e allo «sviluppo». L'adozione di questo criterio di misura ha portato al «malsviluppo» e con esso alla distruzione della natura, allo sfruttamento del «capitale naturale», e, insieme alla negazione dei bisogni fondamentali, la crescita della povertà.

Secondo la sua analisi, dovremmo abbandonare l'attuale economia suicida e promuovere un atteggiamento culturale che esprima «un radicamento profondo alla terra e alle specificità del luogo in cui si origina, ma anche un sentimento di solidarietà per tutto il genere umano, una coscienza universale». Qualcuno potrebbe osservare che, nella pratica, si tratta di obiettivi opposti, perché l'ancoraggio alla specificità contraddice il richiamo alla solidarietà universale. Come risponderebbe a questa obiezione?
Risponderei che è molto semplice, direi inevitabile, conciliare le due dimensioni: abitiamo tutti su un unico pianeta, e questo significa che la «terra» è la stessa, ma allo stesso tempo ognuno proviene da un luogo particolare, da un «terreno» specifico. È un'eredità della filosofia riduzionista l'idea che si diano opposizioni del tipo «questo oppure quello». Per quanto mi riguarda, la mia formazione nella teoria dei quanti, che esclude l'idea che ci siano elementi incompatibili e reciprocamente alternativi in favore di una concezione basato sulla congiunzione «e», mi porta a credere di poter disporre di un'identità profondamente locale, radicata nella valle dell'Himalaya dove sono nata e cresciuta, e insieme completamente planetaria, e che queste due forme di identità si tengano insieme senza contraddizioni. Anche i recenti attentati terroristici di Mumbai sono frutto dell'erosione delle forme di identità multiple a cui mi riferisco. Coloro che sono vulnerabili e «disponibili» a essere arruolati, pagati o sfruttati dagli estremisti di turno per compiere azioni di terrorismo sono quelli che sono stati allontanati a forza dalla loro terra, che sono stati resi superflui ed «eccedenti» rispetto alle proprie società; oppure quelli che vengono mobilitati e reclutati attraverso la costruzione fittizia di identità che si escludono a vicenda sulla base dell'opposizione «o questo o quello». In realtà, non si dà mai solo «o questo o quello», ma sempre un «questo e quello»: riusciremo a svincolarci dall'eredità delle identità incompatibili solo coltivando la nostra responsabilità verso il luogo particolare da cui proveniamo e insieme la consapevolezza che siamo parte di un'umanità comune, che condivide lo stesso pianeta.