Un
bel ricordo di Rodolfo Morandi (che io ho conosciuto a Perugia al
Congresso dei giovani socialisti che presiedevo nel luglio del 55)
L'Unità - Fondata da Antonio Gramsci nel 1924
Rodolfo Morandi Il sogno di un altro Socialismo
di Pasquale Cascella
«La democrazia sarà di quanti combattono, per opposte finalità, le
teoriche delle caste d'"unti del Signore", dei conservatori e dei
reazionari». Non è una riflessione di oggi, legata al dibattito politico
sulla pretesa di Silvio Berlusconi di imporre il suo volere. È datata
1923. Ed è firmata da Rodolfo Morandi, di cui oggi ricorre il centesimo
anniversario dalla nascita. Vita breve, quella del «socialista
rivoluzionario e classista», spezzata tragicamente nel 1955,
probabilmente a causa dei postumi di un maldestro intervento chirurgico
all'intestino subìto nel carcere di Castelfranco Emilia dove era stato
segregato dal fascismo. Ma vita intensa. Dalla giovanile formazione
mazziniana alla partecipazione attiva alla lotta antifascista nelle file
di Giustizia e libertà, poi approdata al «Centro socialista interno» su
posizioni «frontiste» che gli valsero la condanna del Tribunale
speciale fascista a dieci anni di galera. Ne uscì alla vigilia della
lotta insurrezionale al Nord, che guidò a capo del Comitato di
liberazione dell'Alta Italia. E a questa spinta democratica uniformò il
suo agire politico, da ministro nel governo di unità nazionale prima e
da dirigente del Partito socialista poi. Fino alla morte, della cui
imminenza era talmente cosciente da vergare il proprio testamento
politico con accenti ispirati dall'ansia di un impegno unitario già
allora contrastato: «Al di sopra del partito ho sempre posto la causa
dei lavoratori, la causa del popolo, nella convinzione che il partito
non avesse diritto di chiedermi di più». È stato uomo del suo tempo,
Morandi. Ma i principii maturati nel crogiuolo di quegli anni duri, con
quella che Giorgio Amendola definì «una scelta di vita», acquisiscono un
valore universale, incancellabile nel tempo, la cui memoria vale come
antidoto alle ricadute della storia. Aveva solo 22 anni, il mazziniano
di buona famiglia milanese che aveva già dichiarato il suo «ideale
democratico ch'è la nostra stessa moralità» da «attuare nella vita
d'ogni giorno, nelle forme sempre nuove che il momento storico ci
presenta», quando fu sconvolto dall'assassinio di Giacomo Matteotti. E,
in quel momento, l'impulso fu alla ribellione, all'insofferenza per
l'impotenza dell'Aventino, vissuta come attesa che piovesse dall'alto
«quella grazia per la quale non manovrano solo i costituzionalisti, ma
aspirano, ahimè, anche i rivoluzionari». Questa interpretazione etica ha
segnato l'originalità della militanza socialista di Morandi. Da cui ha
preso avvio il filone socialista classista e al tempo stesso libertario,
che - ha scritto lo storico Aldo Agosti, autore di una copiosa
biografia - si poneva «come alternativa sia al comunismo
terzinternazionalista, sia al riformismo socialdemocratico, sia
all'egemonia nella sinistra italiana della tradizione comunista
gramsciano-togliattiana». Ma le vicende della vita non hanno consentito
che tanto equilibrio - mai equilibrismo - riuscisse a trovare una
conseguente espressione politica, al di là di qualche interesse
contingente, ora a motivare le spinte scissioniste, come quella del
Psiup, ora certe riconversioni a sinistra, come quelle che hanno segnato
il travagliato percorso governativo del Psi. L'aspirazione unitaria di
Morandi si è misurata laicamente (non fosse che per la formazione
culturale giovanile e per l'estraneità alle lacerazioni anche personali
seguite alla scissione di Livorno del ‘21) con i continui contrasti
all'interno della sinistra, senza dare mai per acquisita né la
separazione in famiglia né la ricomposizione verticistica. La spinta
unitaria era finalizzata alle revisioni necessarie a superare le ragioni
profonde dei dissensi, quindi alla prospettiva di un partito nuovo, di
massa, che associasse il mondo del lavoro al potere per dare alla
libertà, da riconquistare e riconquistata, sostanza reale. L'espressione
più alta di questa ambizione si misurava con l'esperienza
rivoluzionaria di Lenin, senza però assumere la rivoluzione russa, e il
socialismo che andava a realizzarsi sotto la guida politica di Stalin,
come modello. Per Morandi, della rottura storica intervenuta in Russia, i
socialisti avrebbero dovuto «professarne gli insegnamenti, che assai
più valevano delle formule logore della dottrina». A cominciare dalla
«somma complessità che presenta il passaggio ad un'economia collettiva e
della gradualità che è necessario osservare nell'effettuarlo». Che si
traduceva, nella concreta realtà italiana, nella indicazione di
«un'organizzazione sotto forme autonome dell'economia collettiva» e
della «più ampia e spregiudicata libertà politica». Un approccio
diventato concreto con la liberazione dal fascismo: alla testa del
Cnlai, Morandi lancia i consigli di gestione a cui affida il compito di
porre le basi della «nuova democrazia». Era, appunto, il modo di
riconoscere il ruolo dei lavoratori nel processo produttivo ed estendere
la democrazia a queste strutture del potere. Per le quali Morandi si
batté anche dal ministero dell'Industria, nel governo di Alcide De
Gasperi che accompagnò la Costituente, contro le tante resistenze che
quella politica di piano incontrava nel ricostituendo blocco tra agrari e
capitalisti. Con un limite, dettato evidentemente dalla preoccupazione
che si trasformasse in «blocco reazionario», sostenuto dagli alleati
occidentali sotto la cui influenza l'Italia stava per finire in ragione
del patto di Yalta. In effetti, la rottura della collaborazione con la
sinistra operata da De Gasperi costrinse la sinistra a cercare altre vie
per affermare il proprio progetto strategico, in un clima
internazionale che si avviava alla guerra fredda. Niente affatto
convinto della ritrovata vocazione democratica della nuova classe
dirigente, Morandi fu tra i socialisti che più sostennero la scelta
frontista di Pietro Nenni nel ‘48, non perché sicuro che il «fronte»
avrebbe vinto, ma come necessario argine alle minacce di involuzione. È
in questa fase che Morandi fa riferimento al leninismo
(«Ideologicamente, senza riserva alcuna, noi assumiamo il lenilismo come
interpretazione e sviluppo del marxismo e ribadiamo il superamento
della socialdemocrazia nella sua duplice espressione di riformismo e
massimalismo») per superare le tradizionali correnti, in cui continuava
ad essere divisa la sinistra e arrivare a congiungere la lotta di classe
e l'unità di classe in quello che definisce il «partito della classe».
Francesco De Martino, il socialista che con più convinzione ne ha
raccolto la vocazione unitaria, in occasione del XXV anniversario della
morte di Morandi, spiega quella critica alla socialdemocrazia con il
fatto che questa avesse abiurato il marxismo. Fatto è che Morandi fa un
esplicito riferimento al socialismo europeo quando, al congresso del Psi
di Torino nel 1955, si comincia a discutere di una possibile apertura a
sinistra della Dc, concepito però come recupero dell'incontro di
governo tra le grandi forze antifasciste. Si rivolge, infatti, a quanti
nel suo partito teorizzano la libertà d'azione, sottolineando che se
così «si dovesse intendere la capacità di configurarsi come forza idonea
a interpretare sentimenti ed esigenze radicate nelle tradizioni del
socialismo europeo, allora si può sicuramente asserire, come
l'esperienza ha dimostrato, che non è l'unità d'azione sul terreno della
lotta di classe che a quella può fare ostacolo». Purtroppo, la morte
non ha consentito a Morandi di misurarsi, nel vivo dei nuovi processi
politici, con la risposta che egli stesso aveva dato a Nenni sul
possibile superamento dell'unità d'azione a sinistra: «Non certamente
nel senso - avvertiva - che possa mai risolversi l'intima e
indissolubile comunanza di aspirazione e di ideali che è tra i
socialisti e i comunisti. Ma nel senso che la manovra congiunta dei due
partiti potrebbe anche divenire superflua in una situazione che non
fosse irrigidita ed esasperata a tal punto da pregiudiziali ideologiche,
non essendo il patto per sé stesso (ed è ciò che importa comprendere) a
determinare la condotta di classe, la naturale condotta unitaria del
partito». Ci sono voluti cinquanta e più anni perché tornasse ad
affermarsi l'idea di raccogliere l'eredità di tutto il socialismo
italiano in un «nuovo partito». Che, a giudizio di De Martino, Morandi
non immaginava certo come la «risultante dalla somma o giustapposizione
del partito socialista al partito comunista». Come, allora? È lo stesso
Morandi a tracciarne l'identità, in un discorso ai giovani socialisti
del 1950, come in una sorta di mandato per l'affermazione degli ideali
socialisti: «Solo un partito che abbia eliminato il seme della divisione
al suo interno, un partito capace di stroncare qualsiasi tentativo di
riprodurre nel suo seno situazioni degenerative, un partito che abbia
sbaragliato i personalismi, le clientele e le cricche e sradicato il mal
costume del gioco su due scacchiere dei dirigenti, solo un partito che
abbia recuperato capacità di attrazione, un partito che non si consumi
in sé stesso ma sia in grado di protendersi verso l'esterno, un partito
che si accresca di forze e si rinvigorisca vieppiù nelle sue strutture,
un partito che elevi incessantemente il grado della sua combattività,
può a un tale obbiettivo dirigersi». Non è un messaggio che parla ancora
oggi?
30 July 2002 pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 29) nella sezione "Cultura"
Rodolfo Morandi
Nato a Milano il 1° gennaio 1903, deceduto a Milano il 26 luglio 1955, avvocato, economista ed esponente socialista.
Dopo essersi laureato in Legge, orientò i suoi interessi allo studio
di Giuseppe Mazzini e, poi, del marxismo. A questo s'ispirò nella
realizzazione del suo libro più famoso (Storia della grande industria moderna in Italia,
edito nel 1931 da Laterza). Mentre lavorava a quest'opera, Morandi
maturò la sua coscienza antifascista, che lo portò ad aderire prima al
movimento "Giustizia e Libertà" e poi al Partito socialista clandestino.
Organizzato il "Centro interno" del PSI a Milano, Morandi non esitò a
mettersi in contatto, con spirito unitario, col Partito Comunista
d'Italia, che era già, in quegli anni, una grande forza organizzata
dell'antifascismo. Il dirigente socialista svolse la sua attività
politica, inframmezzata dalla professione forense, sino a che non si
rese conto di essere stato individuato dalla polizia. Decise così di
riparare in Francia. A Parigi Morandi entrò a far parte del "Centro
estero" del PSI, diresse il giornale clandestino Fronte Rosso, collaborò a Politica socialista
e ad altre pubblicazioni antifasciste. Rientrato in Italia, contribuì
alla formazione del "Fronte unico antifascista" fino a che, nel 1937, fu
arrestato con un gruppo di compagni. Deferito al Tribunale speciale e
condannato a 10 anni di reclusione, Morandi ne scontò sei nelle carceri
di Castelfranco Emilia e di Saluzzo. Riottenuta la libertà nei
quarantacinque giorni del governo Badoglio, riprese l'attività politica
come membro della Direzione del PSI. Dopo l'8 settembre 1943, il
dirigente socialista fu costretto, per le malferme condizioni di salute,
ad espatriare in Svizzera. Nella Confederazione elvetica continuò,
però, a tenere i collegamenti politici e nel giugno del 1944 rientrò
clandestinamente a Milano. Passò poi a Torino, come membro della
Direzione del suo partito per l'Alta Italia e, in quanto tale, concorse
(come dirigente del CLN regionale piemontese), all'organizzazione dei
grandi scioperi preinsurrezionali. Rientrato a Milano nella fase
conclusiva della lotta contro i nazifascisti, il 23 aprile 1945 Rodolfo
Morandi fu nominato presidente del CLN dell'Alta Italia in luogo di Alfredo Pizzoni. Il 25 aprile, insieme a Sandro Pertini,
firmò a nome del PSI il decreto col quale i partiti del CLN Alta Italia
assumevano i poteri di governo. Nel difficile momento seguito alla
Liberazione, Morandi fu eletto segretario del PSI, incarico che conservò
dal dicembre 1945 all'aprile 1946. Membro della Consulta, poi eletto
alla Costituente, entrò a far parte del 2° e del 3° Gabinetto De Gasperi
come ministro all'Industria e Commercio. Dal 1948 fu senatore di
diritto nel primo Parlamento repubblicano. Vice segretario generale del
PSI dal gennaio 1951, con le elezioni del 1953 Morandi tornò al Senato, a
due anni dalla sua prematura scomparsa per malattia. Oltre alla citata
storia dell'industria italiana, Rodolfo Morandi (al quale sono
intitolate piazze e strade a Milano e in altri luoghi d'Italia e un
Istituto a Torino), ha lasciato molti saggi di politica ed economia.
link permanente a questa pagina: http://anpi.it/b2425/
Un bel ricordo di Rodolfo Morandi (che io ho conosciuto a Perugia al Congresso dei giovani socialisti che presiedevo nel luglio del 55)
L'Unità - Fondata da Antonio Gramsci nel 1924
Rodolfo Morandi Il sogno di un altro Socialismo
di Pasquale Cascella
«La democrazia sarà di quanti combattono, per opposte finalità, le teoriche delle caste d'"unti del Signore", dei conservatori e dei reazionari». Non è una riflessione di oggi, legata al dibattito politico sulla pretesa di Silvio Berlusconi di imporre il suo volere. È datata 1923. Ed è firmata da Rodolfo Morandi, di cui oggi ricorre il centesimo anniversario dalla nascita. Vita breve, quella del «socialista rivoluzionario e classista», spezzata tragicamente nel 1955, probabilmente a causa dei postumi di un maldestro intervento chirurgico all'intestino subìto nel carcere di Castelfranco Emilia dove era stato segregato dal fascismo. Ma vita intensa. Dalla giovanile formazione mazziniana alla partecipazione attiva alla lotta antifascista nelle file di Giustizia e libertà, poi approdata al «Centro socialista interno» su posizioni «frontiste» che gli valsero la condanna del Tribunale speciale fascista a dieci anni di galera. Ne uscì alla vigilia della lotta insurrezionale al Nord, che guidò a capo del Comitato di liberazione dell'Alta Italia. E a questa spinta democratica uniformò il suo agire politico, da ministro nel governo di unità nazionale prima e da dirigente del Partito socialista poi. Fino alla morte, della cui imminenza era talmente cosciente da vergare il proprio testamento politico con accenti ispirati dall'ansia di un impegno unitario già allora contrastato: «Al di sopra del partito ho sempre posto la causa dei lavoratori, la causa del popolo, nella convinzione che il partito non avesse diritto di chiedermi di più». È stato uomo del suo tempo, Morandi. Ma i principii maturati nel crogiuolo di quegli anni duri, con quella che Giorgio Amendola definì «una scelta di vita», acquisiscono un valore universale, incancellabile nel tempo, la cui memoria vale come antidoto alle ricadute della storia. Aveva solo 22 anni, il mazziniano di buona famiglia milanese che aveva già dichiarato il suo «ideale democratico ch'è la nostra stessa moralità» da «attuare nella vita d'ogni giorno, nelle forme sempre nuove che il momento storico ci presenta», quando fu sconvolto dall'assassinio di Giacomo Matteotti. E, in quel momento, l'impulso fu alla ribellione, all'insofferenza per l'impotenza dell'Aventino, vissuta come attesa che piovesse dall'alto «quella grazia per la quale non manovrano solo i costituzionalisti, ma aspirano, ahimè, anche i rivoluzionari». Questa interpretazione etica ha segnato l'originalità della militanza socialista di Morandi. Da cui ha preso avvio il filone socialista classista e al tempo stesso libertario, che - ha scritto lo storico Aldo Agosti, autore di una copiosa biografia - si poneva «come alternativa sia al comunismo terzinternazionalista, sia al riformismo socialdemocratico, sia all'egemonia nella sinistra italiana della tradizione comunista gramsciano-togliattiana». Ma le vicende della vita non hanno consentito che tanto equilibrio - mai equilibrismo - riuscisse a trovare una conseguente espressione politica, al di là di qualche interesse contingente, ora a motivare le spinte scissioniste, come quella del Psiup, ora certe riconversioni a sinistra, come quelle che hanno segnato il travagliato percorso governativo del Psi. L'aspirazione unitaria di Morandi si è misurata laicamente (non fosse che per la formazione culturale giovanile e per l'estraneità alle lacerazioni anche personali seguite alla scissione di Livorno del ‘21) con i continui contrasti all'interno della sinistra, senza dare mai per acquisita né la separazione in famiglia né la ricomposizione verticistica. La spinta unitaria era finalizzata alle revisioni necessarie a superare le ragioni profonde dei dissensi, quindi alla prospettiva di un partito nuovo, di massa, che associasse il mondo del lavoro al potere per dare alla libertà, da riconquistare e riconquistata, sostanza reale. L'espressione più alta di questa ambizione si misurava con l'esperienza rivoluzionaria di Lenin, senza però assumere la rivoluzione russa, e il socialismo che andava a realizzarsi sotto la guida politica di Stalin, come modello. Per Morandi, della rottura storica intervenuta in Russia, i socialisti avrebbero dovuto «professarne gli insegnamenti, che assai più valevano delle formule logore della dottrina». A cominciare dalla «somma complessità che presenta il passaggio ad un'economia collettiva e della gradualità che è necessario osservare nell'effettuarlo». Che si traduceva, nella concreta realtà italiana, nella indicazione di «un'organizzazione sotto forme autonome dell'economia collettiva» e della «più ampia e spregiudicata libertà politica». Un approccio diventato concreto con la liberazione dal fascismo: alla testa del Cnlai, Morandi lancia i consigli di gestione a cui affida il compito di porre le basi della «nuova democrazia». Era, appunto, il modo di riconoscere il ruolo dei lavoratori nel processo produttivo ed estendere la democrazia a queste strutture del potere. Per le quali Morandi si batté anche dal ministero dell'Industria, nel governo di Alcide De Gasperi che accompagnò la Costituente, contro le tante resistenze che quella politica di piano incontrava nel ricostituendo blocco tra agrari e capitalisti. Con un limite, dettato evidentemente dalla preoccupazione che si trasformasse in «blocco reazionario», sostenuto dagli alleati occidentali sotto la cui influenza l'Italia stava per finire in ragione del patto di Yalta. In effetti, la rottura della collaborazione con la sinistra operata da De Gasperi costrinse la sinistra a cercare altre vie per affermare il proprio progetto strategico, in un clima internazionale che si avviava alla guerra fredda. Niente affatto convinto della ritrovata vocazione democratica della nuova classe dirigente, Morandi fu tra i socialisti che più sostennero la scelta frontista di Pietro Nenni nel ‘48, non perché sicuro che il «fronte» avrebbe vinto, ma come necessario argine alle minacce di involuzione. È in questa fase che Morandi fa riferimento al leninismo («Ideologicamente, senza riserva alcuna, noi assumiamo il lenilismo come interpretazione e sviluppo del marxismo e ribadiamo il superamento della socialdemocrazia nella sua duplice espressione di riformismo e massimalismo») per superare le tradizionali correnti, in cui continuava ad essere divisa la sinistra e arrivare a congiungere la lotta di classe e l'unità di classe in quello che definisce il «partito della classe». Francesco De Martino, il socialista che con più convinzione ne ha raccolto la vocazione unitaria, in occasione del XXV anniversario della morte di Morandi, spiega quella critica alla socialdemocrazia con il fatto che questa avesse abiurato il marxismo. Fatto è che Morandi fa un esplicito riferimento al socialismo europeo quando, al congresso del Psi di Torino nel 1955, si comincia a discutere di una possibile apertura a sinistra della Dc, concepito però come recupero dell'incontro di governo tra le grandi forze antifasciste. Si rivolge, infatti, a quanti nel suo partito teorizzano la libertà d'azione, sottolineando che se così «si dovesse intendere la capacità di configurarsi come forza idonea a interpretare sentimenti ed esigenze radicate nelle tradizioni del socialismo europeo, allora si può sicuramente asserire, come l'esperienza ha dimostrato, che non è l'unità d'azione sul terreno della lotta di classe che a quella può fare ostacolo». Purtroppo, la morte non ha consentito a Morandi di misurarsi, nel vivo dei nuovi processi politici, con la risposta che egli stesso aveva dato a Nenni sul possibile superamento dell'unità d'azione a sinistra: «Non certamente nel senso - avvertiva - che possa mai risolversi l'intima e indissolubile comunanza di aspirazione e di ideali che è tra i socialisti e i comunisti. Ma nel senso che la manovra congiunta dei due partiti potrebbe anche divenire superflua in una situazione che non fosse irrigidita ed esasperata a tal punto da pregiudiziali ideologiche, non essendo il patto per sé stesso (ed è ciò che importa comprendere) a determinare la condotta di classe, la naturale condotta unitaria del partito». Ci sono voluti cinquanta e più anni perché tornasse ad affermarsi l'idea di raccogliere l'eredità di tutto il socialismo italiano in un «nuovo partito». Che, a giudizio di De Martino, Morandi non immaginava certo come la «risultante dalla somma o giustapposizione del partito socialista al partito comunista». Come, allora? È lo stesso Morandi a tracciarne l'identità, in un discorso ai giovani socialisti del 1950, come in una sorta di mandato per l'affermazione degli ideali socialisti: «Solo un partito che abbia eliminato il seme della divisione al suo interno, un partito capace di stroncare qualsiasi tentativo di riprodurre nel suo seno situazioni degenerative, un partito che abbia sbaragliato i personalismi, le clientele e le cricche e sradicato il mal costume del gioco su due scacchiere dei dirigenti, solo un partito che abbia recuperato capacità di attrazione, un partito che non si consumi in sé stesso ma sia in grado di protendersi verso l'esterno, un partito che si accresca di forze e si rinvigorisca vieppiù nelle sue strutture, un partito che elevi incessantemente il grado della sua combattività, può a un tale obbiettivo dirigersi». Non è un messaggio che parla ancora oggi?
30 July 2002 pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 29) nella sezione "Cultura"
Rodolfo Morandi
Nato a Milano il 1° gennaio 1903, deceduto a Milano il 26 luglio 1955, avvocato, economista ed esponente socialista.
Dopo essersi laureato in Legge, orientò i suoi interessi allo studio
di Giuseppe Mazzini e, poi, del marxismo. A questo s'ispirò nella
realizzazione del suo libro più famoso (Storia della grande industria moderna in Italia,
edito nel 1931 da Laterza). Mentre lavorava a quest'opera, Morandi
maturò la sua coscienza antifascista, che lo portò ad aderire prima al
movimento "Giustizia e Libertà" e poi al Partito socialista clandestino.
Organizzato il "Centro interno" del PSI a Milano, Morandi non esitò a
mettersi in contatto, con spirito unitario, col Partito Comunista
d'Italia, che era già, in quegli anni, una grande forza organizzata
dell'antifascismo. Il dirigente socialista svolse la sua attività
politica, inframmezzata dalla professione forense, sino a che non si
rese conto di essere stato individuato dalla polizia. Decise così di
riparare in Francia. A Parigi Morandi entrò a far parte del "Centro
estero" del PSI, diresse il giornale clandestino Fronte Rosso, collaborò a Politica socialista
e ad altre pubblicazioni antifasciste. Rientrato in Italia, contribuì
alla formazione del "Fronte unico antifascista" fino a che, nel 1937, fu
arrestato con un gruppo di compagni. Deferito al Tribunale speciale e
condannato a 10 anni di reclusione, Morandi ne scontò sei nelle carceri
di Castelfranco Emilia e di Saluzzo. Riottenuta la libertà nei
quarantacinque giorni del governo Badoglio, riprese l'attività politica
come membro della Direzione del PSI. Dopo l'8 settembre 1943, il
dirigente socialista fu costretto, per le malferme condizioni di salute,
ad espatriare in Svizzera. Nella Confederazione elvetica continuò,
però, a tenere i collegamenti politici e nel giugno del 1944 rientrò
clandestinamente a Milano. Passò poi a Torino, come membro della
Direzione del suo partito per l'Alta Italia e, in quanto tale, concorse
(come dirigente del CLN regionale piemontese), all'organizzazione dei
grandi scioperi preinsurrezionali. Rientrato a Milano nella fase
conclusiva della lotta contro i nazifascisti, il 23 aprile 1945 Rodolfo
Morandi fu nominato presidente del CLN dell'Alta Italia in luogo di Alfredo Pizzoni. Il 25 aprile, insieme a Sandro Pertini,
firmò a nome del PSI il decreto col quale i partiti del CLN Alta Italia
assumevano i poteri di governo. Nel difficile momento seguito alla
Liberazione, Morandi fu eletto segretario del PSI, incarico che conservò
dal dicembre 1945 all'aprile 1946. Membro della Consulta, poi eletto
alla Costituente, entrò a far parte del 2° e del 3° Gabinetto De Gasperi
come ministro all'Industria e Commercio. Dal 1948 fu senatore di
diritto nel primo Parlamento repubblicano. Vice segretario generale del
PSI dal gennaio 1951, con le elezioni del 1953 Morandi tornò al Senato, a
due anni dalla sua prematura scomparsa per malattia. Oltre alla citata
storia dell'industria italiana, Rodolfo Morandi (al quale sono
intitolate piazze e strade a Milano e in altri luoghi d'Italia e un
Istituto a Torino), ha lasciato molti saggi di politica ed economia.
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