Olga benario

Olga benario
rivoluzionaria e martire

lunedì 31 marzo 2008

Camilleri ed Ingrao "eroe del dubbio"



Editoriale
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Caro Camilleri,

Ingrao, da lei definito eroe del dubbio, non esitò a votare per l'espulsione del gruppo che poi diede vita al Manifesto dal PCI.

Approvò senza battere ciglio le più grandi nefandezze dello stalinismo.

Oggi viene celebrato da un importante letterato come lei quale eroe del dubbio mentre le persone che dubitarono davvero e si schierarono come Antonio Giolitti ed altri sono già stati dimenticate.

Pietro Ancona


Ingrao, l’Eroe del dubbio
Andrea Camilleri
Lunedì alle 11, a Palazzo San Macuto, a Roma, lo scrittore siciliano pronuncerà una lectio magistralis nel corso dei festeggiamenti per il novantatreesimo compleanno di Pietro Ingrao, organizzati dal Crs. Ne anticipiamo il testo.
Consentitemi di parlarvi con molta semplicità, a mio e a vostro agio. E parlarvi nemmeno da scrittore, ma da cittadino qualsiasi che però, dal 1942 ad oggi ha seguito, e continua a seguire, le vicende politiche del nostro paese, a lungo militando già fin dall’ottobre del 1943, ma tenete presente che gli Alleati sbarcarono in Sicilia nel luglio di quello stesso anno, nel Pci con alterne vicende.Dirò subito che ho accettato con slancio l’invito di portare la mia testimonianza per il compleanno di Pietro Ingrao perché, nell’unica volta che l’ho incontrato di persona, in occasione della presentazione a Roma del libro di suo nonno Francesco, fui sommerso da una timidezza improvvisa e tale da non consentirmi d’esprimergli la profondissima stima, la grandissima ammirazione e tutta l’intensità dell’affetto che nutrivo, e nutro, per lui. Quando Walter Tocci m’invitò, io pensai subito a un titolo che in qualche modo mettesse in relazione Ingrao e l’esercizio del dubbio costruttivo. Poco dopo è andata in libreria la sua conversazione con Claudio Carnieri intitolata appunto La pratica del dubbio. Mi sono sentito confortato nella scelta del mio tema che è appunto la qualità del dubbio ingraiano. Ingrao, l’ha scritto e detto tante volte, nasce poeta, amante della letteratura del suo tempo e, in seguito, si avvicina al cinema iscrivendosi con l’amico fraterno Gianni Puccini all’appena nato Centro Sperimentale di cinematografia dove, tra parentesi, insegnava anche il russo Pietro Sharov al quale, dagli anni cinquanta e fino alla sua morte, mi legherà una profonda amicizia. Insomma, pare avviato a una brillante carriera nel cinema quando, del tutto improvvisamente, abbandona il Centro sperimentale. Che abbia già abbandonato gli studi universitari in giurisprudenza (ma si laureerà qualche anno dopo), intrapresi forse solo per compiacere la famiglia è cosa che può essere capita, ma la rinunzia volontaria allo studio di una materia dalla quale si sentiva così attratto appare assai più sorprendente. Ingrao ne fornisce una sua spiegazione. Scrive che l’abbandono del Centro Sperimentale fu motivato in sostanza dal contraccolpo provato per l’inizio della guerra di Spagna. Considero questo un punto assolutamente nodale del suo percorso, ma Ingrao mi pare che si limiti sempre a farne breve cenno. Forse per un alto senso di pudore. Perché penso che la guerra di Spagna invece sia stata per lui qualcosa di più di un tragico impatto, sia stato un autentico, squassante cortocircuito. Tutti gli altri suoi compagni e amici, antifascisti come lui, ad esempio, non interruppero certo gli studi o le attività intraprese per il golpe di Franco. Ingrao, sì. Penso che Ingrao ebbe in quel momento la lucida percezione di quello che in realtà veniva a significare la guerra di Spagna e ne ebbe esistenziale sgomento. Su di lui, sulla sua sensibilità, gravavano già da tempo quelli che Vittorini avrebbe chiamato «i dolori del mondo offeso» e la guerra di Spagna consisteva in un insopportabile aggravio dell’offesa. Inoltre veniva a costituirsi come un nitido spartiacque tra fascismo e antifascismo, tanto che gli intellettuali di tutto il mondo vennero strattonati dalla Storia e scelsero l’antifascismo, comprendendo che si trattava non di una guerra locale, ma di uno scontro frontale che coinvolgeva il mondo intero. Scriveva Hemingway: «Se vinciamo qui, vinceremo dappertutto». Già, ma se si perdeva? Vide giusto Gustav Regler, quando cominciava a delinearsi la sconfitta: «Ora che una guerra finiva, credetti di sentire passare nel vento l’odore di cadavere delle prossime ecatombi».Ecco, sono convinto che Ingrao venne allora preso da un dubbio che indirizzò diversamente la sua vita: il dubbio cioè che l’arte da sola e in sé, e in quel momento specifico, fosse assolutamente inadeguata a far barriera contro il fascismo. Io non so se all’epoca le maglie della censura fascista sull’informazione giornalistica avessero permesso, sia pure tra le righe, di lasciar capire quale vasta mobilitazione era in atto e quindi se lui era a conoscenza di quanti artisti e intellettuali fossero andati a combattere in prima linea, col fucile prima ancora che con la penna, da Hemingway a Orwell a Malraux a Saint-Exupéry e a tantissimi altri, certo è che egli in quei mesi, oltre a leggere testi che potessero fornirgli le armi della conoscenza, da Salvemini a Rigola, Trockij, Rosenberg, sente sempre più un’urgenza nuova. Scrive infatti: «Intanto dentro di te si compie una decisione nemmeno dichiarata. Muta il “che fare”: come domanda interna, prima ancora che essa diventi azione esplicita. Cominciò per me un nuovo rapporto con la politica. Mi strappò all’Arcadia».Quindi dal dubbio nasce un meditato agire. Personalmente, provo profondo disagio davanti a chi crede d’avere in sé solo certezze assolute. Contraddirsi, a molti, sembra espressione di malferma personalità e invece così non è, è tutto l’opposto. Per inciso, vorrei ricordare che Leonardo Sciascia in un primo momento voleva che sulla sua pietra tombale fosse scritto «Visse e si contraddisse», ma poi anche lui ci ripensò, contraddicendosi. A questo proposito, c’è un pensiero esemplare nel libro II dei Saggi di Montaigne: «Mi sembra che la madre nutrice delle opinioni più false e pubbliche e private sia la troppa certezza, la troppa buona opinione dell’uomo in sé…»Per quel che mi riguarda, io mi sconfesso continuamente.Il dubitare di Ingrao è sempre, come dire, la messa in moto di un motore che attivamente elabora il che fare più attinente al fine proposto. In altri termini, non è mai la messa in dubbio del perché, ma del come. Certe altre volte il dubbio è inespresso, soprattutto quando Ingrao avverte una fortissima disparità tra la pochezza dei mezzi a disposizione per affrontare un obiettivo che appare impari. Questo dubbio, per esempio, traspare in tutte le pagine che in Volevo la luna si riferiscono al gruppo dei giovani antifascisti romani, e si condensa in un solo aggettivo più e più volte ripetuto: «gracile». Ma il dubbio sulla gracilità del gruppo non significa mai la possibilità dell’ipotesi dell’abbandono della lotta, significa semmai la lucida presa d’atto di una situazione secondo la quale sviluppare l’agire.Ma c’è un altro punto nodale nella vita politica di Ingrao che, ai miei occhi, ha la stessa valenza di quello del 1936. È la richiesta da lui fatta, nel 1966, nel corso dell’XI congresso del partito, di libertà del dissenso. Com’è logico supporre, una tale ardita richiesta all’interno di una struttura rigida, gerarchica e centralista non può che essere la disperata, e ormai non più cancellabile somma finale di un innumerevole dubitare accumulato nel corso degli anni. E questa somma finale ha una precisa definizione: dissenso. Perché questo dissenso? Scrive Ingrao: «In quella mia rivendicazione di libertà del dissenso c’era non solo il drammatico stimolo che era venuto dalla rivelazione dei delitti di Stalin, ma una convinzione più profonda che aveva anche a che fare con una riflessione sull’esistere. Mi muoveva non solo la tutela della libertà di opinione, ma ancor più la convinzione che il soggetto rivoluzionario era un farsi del molteplice: l’incontro fluttuante di una pluralità oppressa che costruiva e verificava nella lotta il suo volto».«Un farsi del molteplice». È in sostanza anche questa una crisi esistenziale e politica che nasce dalla crisi di una certa concezione ristretta della politica e postula una sua rifondazione nel recupero di quella che Hannah Arendt chiamava la politica perduta.Ancora nel ‘66, data la posizione che Ingrao occupava nel partito, ci voleva molto coraggio per proclamare pubblicamente la necessità del dubbio, del dissenso. Coraggio politico, certo. Ma a me appare anche e soprattutto un atto di coraggio umano. Perché è notorio che l’uomo comune nutre una forte diffidenza verso chi dubita, non è un caso che sia stata popolarescamente coniata l’espressione «cacadubbi». Allora, qual è la funzione positiva del dubbio secondo Ingrao? Sentiamo le sue parole. «Mi appassionava la ricerca. E il dubbio mi scuoteva, vorrei dire: mi attraeva. Vedevo in esso una apertura alla complessità della vita. Dubitare mi sembrava l’impulso primo a cercare: aprirsi al “molteplice” del mondo…». E ancora: «Il dubbio per me non significava povertà: anzi apertura di orizzonti, audacia nel cercare. Sì, vivevo il piacere del dubbio. E avvertivo anche una ricchezza per quell’interrogarsi, cercando. Come se il mondo - nella sua problematicità - si dilatasse attorno a me».Molti di voi ricorderanno l’incipit delle Meditazioni metafisiche di Cartesio. «Già da qualche tempo mi ero accorto che, sin dai miei primi anni, avevo accolto per vere molte opinioni false, e che ciò che avevo poi costruito su principi tanto malfermi, non poteva essere che assai dubbio e incerto». Il punto di partenza dal quale Ingrao muove ha una diversità di non poco peso, vale a dire che le opinioni da lui accolte all’inizio non si erano in seguito rivelate del tutto false e ingannevoli, ma continuavano ad essere sostanzialmente vere. Il dubbio allora nasceva non dall’opportunità, ma dalla necessità d’accogliere o meno le inevitabili modificazioni che quelle basilari opinioni via via subivano nel convulso procedere della Storia, senza che però ne intaccassero la verità di fondo. Ho detto convulso ma forse avrei dovuto dire compresso. Non a caso Hobsbawm ha definito il ‘900 «il secolo breve», per la somma di accadimenti politici, scientifici, sociali avvenuti nei suoi cento anni, con una rilevante accelerazione, motus in fine velocior, nel secondo cinquantennio. Il dubbio quindi come mezzo di conoscenza, cioè un dubbio di marca cartesiana per il quale ogni dubbio doveva risolversi nella scoperta di un nuovo territorio su cui avventurarsi. E su questi nuovi territori di conoscenza Ingrao si è sempre inoltrato non per il gusto dell’avventura intellettuale in sé, ma quasi per assolvere a un dovere politico e umano. Dovere che non gli ha mai impedito di godere nel contempo del piacere stesso del dubbio e della sua risoluzione. E che non gli ha impedito mai il fare concretamente politica e di assumersi in prima persona l’impegno di responsabilità di partito e istituzionali.Direttore dell’Unità dal 1947 al 1956; deputato dal 1948 per dieci legislature fino a quando, nel 1992, chiede di non essere rieletto; nella segreteria del partito dal 1956 al 1966; nel 1968 presidente del gruppo parlamentare comunista alla Camera; presidente della Camera dei deputati dal 5 luglio 1976 fino al 1979, quando chiederà al partito di non essere ancora ricandidato e al suo posto subentrerà Nilde Jotti.Mi sbaglierò, ma io sono convinto che del suo impegno politico egli sia rimasto maggiormente legato al periodo 1944-45, quando, in una grigia Milano con il piede straniero sopra il cuore, lavorava all’edizione clandestina dell’Unità , quando il vivere e l’agire quotidiani erano un azzardo, quando la possibilità dello scacco era dietro ad ogni angolo, quando si era uomini e no. In quei giorni la lotta era passione, impegno di tutto se stesso, «fatale come una necessità biologica», e chi era uomo, per il solo fatto di esserlo, era anche potenzialmente un eroe. Non vi sembri una parola eccessiva. Cercherò di spiegarne il significato e la ragione per cui mi sento di adoperarla attraverso una frase, della quale vogliate perdonare la lunghezza, tratta da L'Eroe e l'uomo, un saggio compreso nel volume intitolato Senso e non senso di Maurice Merleau-Ponty. Dopo avere lungamente esaminato i protagonisti di Per chi suona la campana di Hemingway, della Condizione umana di Malraux e di Pilota di guerra di Saint-Exupéry, Merleau-Ponty così conclude: «L’eroe dei contemporanei non è scettico, né dilettante né decadente. Senonché, ha l’esperienza del caso, del disordine e del fallimento, del ‘36, della guerra di Spagna, del giugno ‘40. È in un tempo in cui i doveri e i compiti sono oscuri. Prova meglio di quanto non si sia mai fatto la contingenza del futuro e la libertà dell’uomo. Considerando bene le cose, niente è sicuro: né la vittoria, ancora tanto lontana, né gli altri, che hanno spesso tradito. Mai gli uomini hanno verificato meglio che il corso delle cose è sinuoso, che molto è richiesto all’audacia, che sono soli al mondo e soli l’uno di fronte all’altro. Talvolta però, nell’amore, nell’azione, s’accordano fra di loro e le vicende corrispondono alla loro volontà…». L’eroe dei contemporanei non è Lucifero, non è nemmeno Prometeo, ma è l’uomo. L’uomo comune, l’uomo che puoi incontrare all’angolo della strada.E in questo senso, con il viatico di Merleau-Ponty e totalmente spoglio di ogni esaltazione retorica, mi sento di considerare Ingrao un perfetto eroe dei nostri anni. Volevo la luna, ha intitolato Ingrao il suo più recente libro autobiografico. E pare d’avvertire, nel titolo, come una certa disillusione per non essere riuscito a ottenerla.È vero, la luna non è diventata né sua né nostra, se la sono presa gli americani.Ma Ingrao sulla sua personale luna ci è sbarcato, eccome se ci è sbarcato, non ci ha messo nessuna bandiera, se l’è esplorata tutta e ne ha fornito una meravigliosa, unica e irripetibile relazione di viaggio attraverso la sua stessa vita.
Pubblicato il: 30.03.08Modificato il: 30.03.08 alle ore 8.42


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domenica 30 marzo 2008

norme costituzionali

Le norme costituzionali
Chissà perché i sindacati non chiedono mai che siano rispettati i diritti dei lavoratori al lavoro (Costituzione, articolo 4, primo comma), a una retribuzione sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa (Costituzione, articolo 36, primo comma), a un sussidio di disoccupazione adeguato alle esigenze di vita (Costituzione, articolo 38, secondo comma) e alla cogestione (Costituzione, articolo 46). E chissà perché, infine, i sindacati non chiedono mai che le pensioni siano adeguate alle esigenze di vita del lavoratore che non può più guadagnarsi il salario o lo stipendio perché è vecchio (Costituzione, articolo 38, secondo comma)!Mario Scrawls, San Donato Milanese,

Sul socialismo italiano

La lettera del giorno Domenica 30 Marzo 2008IL FUTURO DEI SOCIALISTI IL DILEMMA DEL VOTO UTILE
In merito alla sua risposta a un lettore che stigmatizzava il silenzio del Corriere sul rinnovato Partito socialista, mi permetta alcune riflessioni. In primo luogo non condivido l'affermazione che in Italia non manchi "programma politico simile a quello delle maggiori socialdemocrazie europee" e che lei, evidentemente, identifica nel programma del Partito democratico. Le cosiddette socialdemocrazie europee accampano nelle politiche pubbliche una visione laica del ruolo di governo che, seppure rispettosa delle identità e delle comunità religiose, non abdica a pressioni. È in grado dunque di affermare che sui diritti civili e sulla libertà di ricerca scientifica Veltroni e il Pd sono simili al Psoe di Zapatero o ai laburisti di Blair e Brown? Oppure che il Pd (ma anche il Pdl) potrà portare avanti la battaglia ai monopoli (aziende del servizio pubblico locale), ai duopoli (sistema televisivo) e agli oligopoli (banche, assicurazioni) del sistema italiano? Francamente credo di no e la ragione sta nel fatto che, nascendo da due subculture politiche e territoriali ben conosciute, appoggiandosi a un sistema di interessi economici consolidati, il Pd non potrà operare più di tanto. Lo si è visto con le "lenzuolate" liberalizzatrici che hanno colpito volentieri barbieri e tassisti ma solo marginalmente banche e assicurazioni, sistema editoriale e professioni. In secondo luogo sono sorpreso dalla sua adesione di fatto alla teoria del voto utile. Credo che il voto debba essere innanzitutto libero di fronte a chi non è riuscito per 15 anni a trovare una dignitosa strada per rifondare le Istituzioni e che, per essere realmente utile, debba premiare chi intende portare avanti una battaglia riformatrice vera, impostata su idee chiare che si rifanno all'azione e al pensiero culturale e politico europeo e non alle consuete anomalie.Pieraldo Ciucchi, Presidente gruppo Ps, Consiglio regionale Toscana, segretario regionale Ps,
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Caro Ciucchi, Lei ha ragione quando osserva che il Pd è meno laico di quanto non siano le maggiori socialdemocrazie europee. Ma ogni Paese ha una storia propria di cui non può facilmente sbarazzarsi. L'Italia, in particolare, è stata governata per quasi cinquant'anni da un partito- la Democrazia Cristiana -che fu molto meno moderato e conservatore di quanto non piacesse alle sinistre rappresentarlo. Vi era nel suo seno una sinistra cattolica che s'ispirava alla politica sociale della Chiesa ed era stata attratta negli anni Trenta dall'economia corporativa del regime fascista. Questa corrente della Dc fu spesso molto più anticapitalista, dirigista e interventista di quanto non fossero i socialdemocratici di Giuseppe Saragat e i socialisti di Bettino Craxi. È bene ricordare che l'Italia, fra le maggiori democrazie europee, fu la sola in cui esistessero due Confindustrie: quella degli imprenditori privati a viale dell'Astronomia e quella delle aziende pubbliche al ministero delle Partecipazioni statali. Quando la Dc entrò in crisi, all'inizio degli anni Novanta, la sinistra cattolica si dimostrò più resistente e tenace di altre correnti del partito. Divenne sempre più evidente, negli anni successivi, che un partito di sinistra riformista, in Italia, non avrebbe mai potuto aspirare alla maggioranza e diventare forza di governo se non fosse riuscito a rappresentare contemporaneamente la sinistra laica e quella d'ispirazione cristiana. Senza un accordo fra queste due forze, la sinistra sarebbe stata divisa tra partiti più o meno piccoli, tutti ricchi di gloriose tradizioni, ma destinati a svolgere un ruolo complessivamente modesto nella vita del Paese. Se questa è la nostra storia politica, i socialisti, a mio avviso, farebbero bene a prenderne atto. È meglio conservare una illusoria e irrilevante indipendenza o far valere le proprie ragioni in un partito che ha qualche ragionevole possibilità, prima o dopo, di governare il Paese? Sulla questione del "voto utile" temo quindi che le nostre posizioni, caro Ciucchi, siano molto diverse. Non credo che i cittadini di una grande democrazia debbano andare alle urne per esprimere posizioni di principio o rivendicare la nobiltà di antiche tradizioni politiche o formulare progetti che non verranno realizzati. Devono scegliere pragmaticamente fra il "peggio ", rappresentato dal partito che non riscuote la loro fiducia, e il "meno peggio", rappresentato dal partito che offre qualche garanzia di proteggere al meglio i loro interessi. I programmi possono dare un'idea generale delle intenzioni dei partiti, ma non sono e non possono essere vincolanti. Non appena costituiti i governi europei, di sinistra o di destra, si muovono tra scogli e paletti (dalle direttive di Bruxelles ai contraccolpi delle crisi economiche e finanziarie) che nessuno di essi è in condizione di rimuovere. Come abbiamo constatato nel caso del governo Prodi, quanto più i programmi sono dettagliati tanto maggiori saranno le delusioni degli elettori.

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Caro Professore,

nella risposta alla lettera del socialista Ciucchi lei accredito il Partito Democratico come il corrispondente italiano dei partiti della socialidemocrazia europea. Non è vero. Il PD di Veltroni è il prodotto dell'incontro storico di due fallimenti: la democrazia cristiana ed il Partito Comunista. Non ha niente in comune con la socialdemocrazia europea e non soltanto per le questioni della laicità. L'Italia è sempre una anomalia. ieri con il PCI enorme al posto della socialdemocrazia oggi con il PD ha ha connotazioni liberiste simili al partito di Berlusconi. Di socialista in Italia è rimasto soltanto il Partito Socialista. Avrà poco e forse scomparirà dal Parlamento. Ma i postcomunisti ed i postdemocristiani non potranno mai prenderne il posto. Pietro Ancona


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Caro Ciucchi,

ho letto ed apprezzato la bella e convincente lettera che hai scritto al Corriere e che io ho riprodotto nel mio blog Socialismo.

Mi dispiace soltanto che non hai richiamato lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori voluto da Brodolini e che i Vultrusconi vorrebbero abolire.

Veltroni è mallevadore di quel tale Ichino che vorrebbe subito abolire l'art.18.

Ancora complimenti ed auguri da un vecchio socialista non "inutile"

Pietro Anconawww.spazioamico.ithttp://pietro-ancona.blogspot.com/ http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/

sabato 22 marzo 2008

genocidio della politica italiana

Buona Pasqua e buon equinozio di primavera

GENOCIDIO POLITICO
Il Presidente della Repubblica è intervenuto per affermare l'utilità del voto, fondamentale strumento di democrazia,comunque dato e non soltanto se per le due maggiori concentrazioni politiche italiane del Partito delle Libertà e del Partito Democratico.
Queste due concentrazioni politiche hanno usato una infame legge elettorale per negare la possibilità di accedere al Parlamento alle formazioni politiche che non hanno il 4 per cento di consensi per la Camera dei Deputati e l'otto per cento per il Senato.
L'appello del Presidente non è sufficiente a garantire il corpo politico italiano dal momento che tutto il sistema informativo dai giornali alla televisione ignora l'esistenza ed i programmi delle formazioni politiche minori e tende a personalizzare la campagna elettorale attorno alle figure di Berlusconi e Veltroni che risultano dominanti a di gran lunga maggiori di tutti gli altri.
I programmi delle due maggiori formazioni politiche tendono ad assomigliarsi non tanto per convergenza virtuosa sui mezzi per risolvere i problemi della società italiana quanto perchè tendono a conquistare lo stesso elettorato quello di centro e cioè ad esprimere gli interessi dello stesso blocco sociale che è quello che esclude il lavoro dipendente, i pensionati, i precari, gli immigrati.
Ridurre il Parlamento alla espressione bipartitica di questo blocco sociale è operazione profondamente reazionaria ed antidemocratica destinata ad accrescere il conflitto sociale dal momento che quanti si riconosconono nella tradizione del movimento socialista o in altre espressioni politico-culturali diverse da quelle veltroberlusconiane saranno esclusi. Inoltre, la dichiarazione di
Veltroni di rinunzia a qualsiasi alleanza con la sinistra anche se dovesse pagarne il prezzo di cedere il potere a Berlusconi
ed ai suoi alleati aggrava l'esclusione, quasi un colpo di stato, degli interessi di tutte le classi legate al lavoro dipendente-
In sostanza anche se i lavoratori continueranno a votare il loro voto non avrà più alcun valore dal momento che i partiti che
esprimono i loro interessi sono aprioristicamente o esclusi dal Parlamento o ignorati da coloro che raccolgono il grosso dei consensi della società italiana.
Avremo uno svuotamento della Costituzione italiana fondata sul lavoro. Non è escluso che i due maggiori partiti riformeranno profondamente la Costituzione adattandola alle loro esigenze ed escludendo l'ispirazione fondamentale che l'ha fatta nascere e cioè garantire a tutti i cittadini italiani parità di diritti e di opportunità ed adeguata rappresentanza politica.
Per questo mi auguro che tutti i partiti della tradizione democratica italiana a cominciare dal Partito Socialista superino le difficoltà ed abbiano la possibilità di accedere il Parlamento a rappresentare l'opinione di quanti non delegano ai partiti di Berlusconi e Veltroni la rappresentanza dell'intera società italiana e della sua storia civile.
Pietro Anconawww.spazioamico.ithttp://pietro-ancona.blogspot.com/ http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/

venerdì 7 marzo 2008

Un fatto incoraggiante!

Roma, 7 marzo 2008 -
"Non è possibile lasciare ai romani la sola possibilità di scelta tra un candidato papista e uno dei clericofascisti. Noi non vogliamo che Roma sia governata dalla destra, la peggiore destra in Italia, ma vogliamo riportare i temi del socialismo e della laicità a Roma e quindi in Italia".
Così Franco Grillini ha annunciato ufficialmente la sua candidatura a sindaco di Roma e, nel farlo, ha spiegato che "la decisione è arrivata dopo il rifiuto e la discriminazione inspiegabili e inspiegati che il Pd ha fatto nei confronti del Partito Socialista". Per l'annuncio dell'inizio della corsa al Campidoglio, la sede prescelta è stata quella della 'casà storica del Partito Socialista a Roma, i locali del civico 26 di piazza San Lorenzo in Lucina.
Accanto al candidato siedono i maggiorenti del Partito Socialista: il vicepresidente del Senato Gavino Angius, il presidente del partito Enrico Boselli, il segretario romano Atlantide Di Tommaso e Alberto Benzoni, già vicesindaco con Luigi Petroselli.

RUTELLI INVOTABILE
È il candidato del Pd, Francesco Rutelli il primo bersaglio di Grillini: "È stato protagonista della spinta anti socialista nel Pd - spiega - e Rutelli è stato il sindaco che nel 2000 ritirò il patrocinio al World Pride". Continua, il candidato, a citare i passaggi che, a suo dire, rendono impraticabile la strada di un apparentamento tra socialisti e Pd, dal referendum sulla legge 40 al muro contro muro che, in Campidoglio, il Pd ha opposto al Registro delle unioni civili.
Enrico Boselli ricorda di essere "rimasto colpito dalla decisione che Walter Veltroni prese due mesi fa quando, alleandosi con la destra, impedì l'istituzione del Registro delle unioni civili, lasciando in questo modo 60 mila coppie romane prive di diritti. I sindaci socialisti di Parigi e Londra si sarebbero vergognati".
Di fronte a questo precedente il presidente dei socialisti sente di poter dire che «da sindaco Rutelli farà anche di peggio. Per questa ragione penso sia giusto scendere in campo».

Il tema dei diritti civili è stato il terreno dove più forte si è consumata la frattura fra i socialisti e il Pd. In particolare, Grillini parla della decisione di Veltroni di impedire l'istituzione del registro delle unioni civili, decisione definita "un fatto grave perchè il Pd si è unito alla destra", aggiunge il candidato socialista. "Il registro era un'iniziativa di carattere simbolico, perchè occorre una legge nazionale, ma centinaia di Comuni lo hanno approvato proprio come contributo". Quanto a Rutelli, per Grillini resta "il protagonista della spinta antisocialista e clericale nel Pd. Nel 2000, quando era sindaco, ritirò il patrocinio al World Pride".

APPOGGIO DELL'ARCIGAY
"Arcigay esprime pieno appoggio alla battaglia di Franco Grillini, che ha come primo obiettivo di dare voce a tutti quegli elettori che vogliono esprimere un voto per un candidato sindaco concretamente impegnato nelle battaglie di laicità di libertà". E' quanto afferma in una nota l'associazione Arcigay. "Riteniamo, quindi, che tutte le persone lgbt e quelle che si adoperano per una riforma civile e sociale nel Paese, possano riconoscersi e sostenere la candidatura di Franco Grillini a sindaco di Roma".
LISTE A SOSTEGNO
A sostegno di Franco Grillini, candidato sindaco di Roma, «stanno nascendo, oltre alla lista del Partito socialista, altre due liste». Lo ha annunciato il presidente dei socialisti, Enrico Boselli, presentando oggi la candidatura di Grillini per il Campidoglio. «La sua lista - spiega Boselli - accoglierà uomini e donne della cultura radicale e repubblicana in difesa della laicità dello Stato e per le unioni civili. Il Partito socialista sottolinea positivamente la scelta dei compagni di Roma perchè ritiene che questa sia la città delle mille differenze, delle mille culture ed è per questo necessario un contributo che si batta per i diritti civili individuali».
Per quanto riguarda le altre due liste, "ve ne sarà una civica e un'altra - spiega Grillini - che non voglio anticipare Si tratterà comunque di una lista trasgressiva, birichina, dedicata al mondo della notte e del tempo libero. Non è una novità - conclude Grillini - ne esiste una anche a Parigi ed ha sostenuto l'elezione del sindaco Bernard Delanoe».

LE '3 T' DI GRILLINI
Dopo le '3 I' di Silvio Berlusconi, nella campagna elettorale irrompono le '3 T', talento, tecnologia e tolleranza, di Franco Grillini, che oggi ha annunciato la sua candidatura a sindaco di Roma per il partito socialista. In particolare, Grillini promette "internet gratis e accessibile a tutti estendendo la rete wi-fi". E ancora: "Mi occupero' della vita quotidiana dei romani, di tutti i romani".
Grillini sara' appoggiato da tre liste: una socialista, una d'ispirazione laica e una terza che lui definisce "molto trasgressiva, birichina e dedicata al mondo della notte e del divertimento". Sul sito internet del candidato, www.grillinisindaco.it saranno pubblicati gli sms (da inviare al numero 331/7076401) dei cittadini che vogliono dare suggerimenti per la campagna elettorale.