Olga benario

Olga benario
rivoluzionaria e martire

lunedì 1 dicembre 2008

il socialismo non può morire

POLITICA



LA DISCUSSIONE
Ecco perché il socialismo non può morire
di MASSIMO L. SALVADORI

I CRITICI del socialismo come movimento sia ideale sia organizzato hanno a mio avviso pienamente ragione a denunciare il dato evidente che al suo interno regna una forte confusione e a ritenere che con esso occorra fare i conti. Stando alle voci che hanno trovato eco su questo giornale, la grande maggioranza pensa che si tratti di chiudere i conti con un'esperienza che ha avuto un'enorme importanza storica, ma che ora si presenta definitivamente esaurita. Amato va controcorrente, però solo in parte, poiché anch'egli non ritiene auspicabile o difendibile la persistenza della sua autonomia organizzativa. In effetti, nessuno può chiudere gli occhi di fronte al fatto che sopravvive un'Internazionale socialista, esiste un Partito socialista europeo, operano nel mondo un numero assai elevato di partiti socialisti, ma che tutti navigano in un mare incerto, nella prevalente difficoltà di elaborare strategie, programmi di governo che diano loro una distinta fisionomia, insomma di presentare un volto ideale e politico ben definito. Se si tratti di morte come affermano Lloyd e Giddens o meno, certo la malattia è grave. Ma l'interrogativo che pongo è il seguente: è solo il socialismo a non essere in buona salute? Dove e chi sono le correnti, le organizzazioni e i partiti in grado di lanciare messaggi limpidi, di proporre piattaforme davvero efficaci in relazione ai problemi sempre più complessi della governabilità dell'Occidente e più in generale del mondo?

Mi pare di ben comprendere le critiche rivolte allo stato attuale del socialismo da Lloyd, Giddens e Touraine, ma devo d'altra parte dire di non poter fare altrettanto per quanto attiene alle loro conclusioni.


Poiché il socialismo è morto o muore se altri è ben vivo, se altre forze sono in grado di recepirne le istanze di fondo che si ammette abbiano una loro autentica validità e di incorporale in sé; altrimenti le cose si complicano. Oggi si parla della morte del socialismo perché esso è in crisi. Ma quante volte è parso che il liberalismo fosse defunto e che lo fosse anche la democrazia? Al solo socialismo bisogna negare la possibilità di una ripresa?

Chi guardi alla scena che si presenta la vede, a mio giudizio, dominata dai seguenti fattori. L'ondata neoliberista nell'era della globalizzazione ha innalzato la bandiera della libertà dei soggetti economici e dell'espansione del mercato; ma i soggetti protagonisti del mercato globale sono i grandi potentati finanziari ed industriali, che piegano la società ai loro prevalenti interessi, esercitano un'influenza decisiva sulle politiche degli Stati e non esitano quando loro conveniente a difendere monopoli e a invocare politiche protezionistiche, sono responsabili in molti paesi di vaste pratiche di corruzione, generano una distribuzione delle risorse che negli ultimi anni ha portato ad un divario sempre crescente tra le quote di reddito dei ceti alti e quelli medio-bassi. La solidarietà sociale viene largamente invocata, ma si attacca come statalismo il prelievo fiscale che può rendere disponibili le risorse necessarie ad attuarla.

L'assistenza sanitaria è assicurata ad alti livelli per chi può pagarla e lo è sempre meno a chi dipende da un settore pubblico impoverito. Mentre i ricchi godono di mezzi che garantiscono loro una tranquilla continuità di reddito ed elevati consumi, troppi sono coloro che dispongono di retribuzioni insufficienti o che lottano in condizioni di precarietà o di povertà per avere un salario.

Ma vorrei sottolineare un altro elemento di importanza allarmante. La libertà dei grandi soggetti economici alla ricerca del profitto è accompagnata dal saccheggio dell'ambiente che non trova gli ostacoli dovuti in molti paesi da parte degli Stati a partire dalla ricca America per arrivare, con scenari inquietanti, ai paesi attualmente più rampanti come la Cina e l'India. Orbene chi se non il potere pubblico, che si vorrebbe ridotto sempre più ai minimi termini, può dotarsi dei mezzi per affrontare le questioni sopra indicate?
Il socialismo moderno è sorto per rispondere a tre esigenze: lottare contro le forme di società che privano gran parte degli individui dei beni materiali e spirituali per sviluppare in modi "umani" la propria personalità; organizzare e mobilitare gli strati sociali privati in parte o in tutto di questi beni; dare alla società indirizzi di governo per pervenire a una distribuzione delle risorse che impedisca a una parte di costruire il proprio benessere sul malessere altrui.

Storicamente questi obiettivi sono stati interpretati e applicati nel Novecento in due maniere diverse: l'una radicale intesa ad agire mediante la rivoluzione, la dittatura e l'abolizione della proprietà privata; l'altra con le riforme, la democrazia, il ricorso al potere pubblico per regolare il mercato, impedire un uso predatorio delle risorse prodotte a favore degli strati privilegiati, varare istituzioni in grado di proteggere i più deboli e di promuoverne il miglioramento non contingente delle loro condizioni. I critici del socialismo anche democratico fanno carico a questo di aver perseguito forme accentuate di statalismo economico con il potenziamento del "sistema misto". Sennonché questo tipo di statalismo - è il caso di ricordare - è stato il prodotto di una tendenza che ha largamente dominato il secolo, tanto da essere stato fatto proprio anche da governi liberaldemocratici e fascisti. I governi socialdemocratici e laburisti ne hanno rappresentato una variante orientata a scopi umanistici e sociali.

La via comunista è andata incontro ad un fallimento; quella socialdemocratica ha ottenuto grandi risultati. Ha però anch'essa irrimediabilmente chiuso il suo ciclo nel 1989? Touraine sostiene che oggi, dopo la fase neoliberista contrassegnata dalla "onnipotenza" dei dirigenti dell'economia, dalla "pioggia d'oro" finita nelle tasche dei manager, dall'acquiescenza degli Stati ai loro interessi particolari, l'opinione pubblica chiede "una sterzata a sinistra". Sennonché non la vuole posta sotto il segno del socialismo. Osservando la debolezza dei partiti socialisti e dei sindacati ritiene che i soggetti atti a farsene carico possano essere piuttosto i movimenti di base, le associazioni, le organizzazioni non governative ovvero "la società civile" (e a opporre al ruolo dei partiti socialisti quello della società civile sono anche Lloyd e Giddens).

Qui sorge la questione di fondo. E' possibile attuare una sterzata a sinistra senza farlo dalle sedi del potere politico, senza disporre delle leve del governo? Chi può mai accedere al potere e al governo se non i partiti? E quale il contenuto di quella sterzata se non la ripresa e il rilancio degli obiettivi propri dei partiti socialisti democratici: fare leva sugli interessi colpiti, offrire loro un referente politico organizzato, affidare al potere pubblico il compito di regolare con obiettivi sociali il mercato (anche con le liberalizzazioni quando queste valgono a colpire rendite di posizione), avendo come stella polare una più giusta distribuzione delle risorse così da conseguire importanti valori e un ordine civile più umano?

(5 settembre 2006)

lunedì 20 ottobre 2008

vittorio foa padre della repubblica e socialista

Illustre Professoressa,

le esprimo vivissimo cordoglio per la morte di suo padre, mio dirigente nella CGIL e punto di orientamento socialista.
Ho scritto questo breve ricordo.
Pietro Ancona


LA MORTE DI VITTORIO FOA
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La morte di Vittorio Foa avvenuta in età tardissima è pure sempre un impoverimento per quanti restiamo e per qualche tempo ancora continueremo a testimoniare di noi stessi e dei nostri ideali in un mondo incattivito e privo di speranza. (C'è chi spera in Obama ma io resto molto scettico e credo che una potenza imperiale capace di imporre bombardamenti ed occupazione militare per anni a due nazioni del pianeta provocando in continuazione quasi tutte le altre non cambierà linea con il cambio del Presidente.)
Non condivido la scelta della famiglia di fare annunziare al mondo la morte di Vittorio Foa da Walter Veltroni. Prima di tutto perchè Veltroni c'entra assai poco con la cultura e la storia di Vittorio socialista di un socialismo radicale. Non credo di avere mai sentito dire a Foa che si vergognava di essere stato comunista. Foa comunista non lo è mai stato, era socialista radicale, era una persona di sinistra ma il senso che ha dato Walter alla sua vergogna riguardava e riguarda tutta la sinistra italiana
Penso che tuttavia Vittorio Foa sia un sopravvissuto a se stesso.La sua resa agli equilibri della politica degli ultimi anni io non la condivido. Ci sono persone che con il trascorrere degli anni rinunziano o diventano increduli agli ideali della propria giovinezza e della propria vita. Le ultime battute di Foa non mi sono piaciute per niente. Hanno contribuito al disarmo morale, al generale disorientamento della sinistra italiana. Una intera vita spesa per l'autonomia e la crescita civile della classe operaia, una militanza nella CGIL di grande rilievo che contribui' ad elevare la coscienza del movimento operaio italiano, coscienza di sè e della superiorità della propria cultura.
Non ho condiviso di lui la giustificazione alla guerra del golfo e l'atteggiamento remissivo a fronte dell'involuzione liberista dello Occidente quasi che fosse fatale per l'umanità dovere sempre e comunque fare i conti e subire la forza sommergente della borghesia finanziaria e industriale.
Ma molto di quanto ho imparato lo debbo al suo insegnamento
alla sua capacità di analizzare la realtà anche se non sempre le sue soluzioni erano quelle giuste. Nella CGIl era in segreteria con Fernando Santi, grande riformista, gradualista ma intransigente sui diritti ed i valori. Vittorio aveva sempre la bontà
e la capacità di mettere da parte il suo pensiero e di adeguarsi a quella che riteneva la soluzione più "più giudiziosa" spesso opposta alla sua sempre radicale. Ma era sempre una soluzione di avanzamento sociale per i più. Essere "giudiziosi" rispetto la realtà di oggi significa accettare cose che fernando Santi, riformista, non avrebbe mai accettato!!
Pietro Ancona
già membro dell'esecutivo della CGIL
già membro del CNEL
socialista

lunedì 7 luglio 2008

a doriana Goracci nella ML Sinistra

Sono socialista perchè sono di sinistra e non sono comunista. Naturalmente sono anni che non voto PSi e raramente ho votato PCI-
Pensavo che la bandiera fosse tenuta in pugno da Rifondazione ma Bertinotti è un gagà e i Ministri della sinistra sono stati peggiori dei ministri socialisti del CAF:
Ho avuto una bella casa dove abitare nella giovinezza. Il PSI era il più bel Partito del mondo.
Ora mi sento orfano e per anni mi sono sentito sdradicato. Ma ho maturato dentro di me tutte le mie più profonde convinzioni della giovinezza e penso che in primo luogo bisogna sentirsi socialisti nell'anima ed esprimersi dentro tutte le situazioni che richiedono libertà, giustizia, eguaglianza. Se poi verrà o non verrà di nuovo il mio amatissimo partito va benone. Se no, resto comunque sempre me stesso....
Provo pena per tutti i dirigenti della sinistra che sentono bisogno di diventare ALTRO, diventare liberali, assumere atteggiamenti liberali, modificare la propria etica e preporre l'uomo faber produttivo all'uomo nuovo in cui bisogna continuare a credere....te- In ListaSinistra@yahoogroups.com, Doriana Goracci ha scritto:
>

domenica 1 giugno 2008

sul concetto di razza (inapplicabile al genere umano)

http://www.minerva.unito.it/SIS/Razza/Razza.html

2 GIUGNO. PIETRO NENNI PADRE DELLA REPUBBLICA

http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/nenni.htm

giovedì 22 maggio 2008

opzioni fuori dalla storia e dall'idea del socialismo

Al Congresso Socialista due aspiranti si contendono la segreteria: Nencini e Pia Locatelli.

IL primo è fan di Oriana Fallaci e della gestione razzista della Regione Toscana.

La seconda è neo liberista "arraggiata"

Emtrambe non hanno niente a che spartire coi valori del socialismo.

Potrebbero benissimo iscriversi al PD e farla finita.

sE QUESTO E' QUANTO OFFRE IL NUOVO psi, MEGLIO SUICIDARCI SUBITO
Pietro Ancona
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venerdì 18 aprile 2008

Fiuseppe Tamburrano. Che fare?

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Sinistra, che fare?
Giuseppe Tamburrano


Che fare? Così titolava il famoso opuscolo di Lenin. Già: che fare? Vorrei proporre alcune riflessioni sul risultato più clamoroso e inaspettato di queste elezioni: la (quasi) scomparsa della sinistra. E mi chiedo, preliminarmente: è l’effetto del superamento nella moderna società della dicotomia destra-sinistra, come molti sostengono, o è il «tradimento» della sinistra politica che non ha saputo interpretare i bisogni e le aspirazioni di un’area sociale - e culturale - che c’è, che è rimasta orfana e si è dispersa nel non voto, nel voto per partiti estranei di centro e di destra?

La sinistra sociale e culturale c’è, c’è stata e con molte articolazioni, divisioni, errori era - nella prima repubblica - attorno al 40% (socialisti, comunisti e «sinistra diffusa»). Non può essere scomparsa.

È mutata perché cambiata è la società, ma c’è. Ci sono le vecchie e nuove povertà, i bisogni sociali, le aspirazioni ideali. La società moderna è divisa, diversamente divisa rispetto a ieri, ma divisa: e la dialettica che è la forza del cambiamento e del progresso non si è esaurita: la storia non è finita. E per tanti aspetti nuova perché è il portato, appunto, del processo e del progresso. Prima conclusione: la sinistra c’è ma si è quasi dissolto il soggetto politico che la incarna e la rappresenta.

La controprova empirica è che in Europa c’è la destra e c’è la sinistra. E la sinistra è socialista: anche se lo è più di nome che di fatto e deve aprire gli occhi sui problemi del mondo e rinnovarsi.

Oggi in Italia ci sono fondamentalmente due “poli” ma uno, quello diretto da Berlusconi, paradossalmente è alleato con un partito, la Lega, che si reclama rappresentante di vaste categorie operaie, e ospita una intellighenzia che civetta con concetti di sinistra (Tremonti); e l’altro, quello diretto da Veltroni, che, con un altro paradosso, pur avendo le sue radici nella sinistra storica, ha fatto ogni sforzo per non apparire (e non essere?) di sinistra rifiutando persino e recisamente la parola, l’etichetta “sinistra” per disputare all’altro polo la rappresentanza di interessi e di ceti moderati ed occupare un’area di centro.

Insomma vi è una sinistra storica che rifiuta di esserlo tout court, che non si riconosce nemmeno nella sinistra moderata che è il socialismo europeo, e vi è una sinistra politica che ha preteso di esserlo in modo radicale ma è svanita perché ha doppiamente “tradito” la sua area di riferimento partecipando ad un governo che ha praticato una politica impopolare e non rinnovando il suo “antagonismo” in un progetto di socialismo moderno.

Che fare? È possibile rimettere le cose al loro posto? E rivolgo la domanda prima di tutto a Veltroni. Il quale ha tentato di realizzare in Italia l’operazione riuscita a Blair in Inghilterra. Il leader laburista, senza cambiare nome al partito, ha adottato il liberismo della signora Thatcher: molti elettori conservatori stanchi e delusi di un lungo e ormai inefficiente governo conservatore (erano finiti i tempi ruggenti della signora!) hanno sposato il liberismo del giovane e brillante Tony.

In Italia - questo è stato l’handicap di Veltroni - il governo che ha deluso non è stato diretto dall’avversario Berlusconi, ma dall’amico Prodi. E Veltroni non ha potuto scrollarsi di dosso l’impopolarità di quel governo. E il suo disegno non ha avuto successo. Se ha imparato la lezione il leader del Partito democratico deve guardare dalla sua parte, deve guardare a sinistra, a quel progetto tante volte annunciato e mai neanche avviato di costruire anche in Italia un grande partito socialista di tipo europeo e se possibile più avanzato e moderno di quello europeo.

Sarà un processo lungo - ma abbiamo lunghi anni di governo Berlusconi - che forse vedrà la scissione di Calearo e di Colaninno (e speriamo non di tutta l’ex Margherita), ma è l’unica via per un leader che voglia costruire il futuro e “rassembler” la sinistra: come ha fatto Mitterrand il quale ha invertito il corso e la crisi della screditata socialdemocrazia francese; come ha fatto Nenni che, nel 1956, ha capovolto la sua politica frontista e ha restituito al Psi la sua identità democratica.

Ma un compito importante spetta alla residua sinistra radicale. Bertinotti ha lasciato la carica, ma non ha perso la “carica”. Coinvolgendo il Partito socialista occorre avviare un profondo processo costituente, una Epinay o un congresso di Venezia (Psi 1957) ma non per rilanciare l’Arcobaleno: lo lasci perdere perché non ha annunciato bel tempo, ma è stato foriero dell’uragano. La «via maestra, l’immortale» (ho citato Lenin, cito anche Turati), il quadro di riferimento è il socialismo.

Quella sinistra può rinascere dalle sue ceneri a condizione che 1) a provarci non siano solo quelli che in cenere l’hanno ridotta: e perciò Bertinotti deve cercare nuove facce; 2) si parta dalle idee, dalla ricerca di una nuova identità del progetto socialista, e si cerchi di propagare questo processo al Pd, incalzando Veltroni.

E concludo con l’ultimo paradosso. Il modello del capitalismo globalizzato è in crisi; si accentua il malessere sociale nelle aree metropolitane colpite dalla recessione e si aggravano le già drammatiche condizioni dei Paesi poveri colpiti anche da una crisi alimentare di enormi proporzioni. Ormai il ricorso alla mano pubblica è chiesto e praticato dall’establishment. È il momento della sinistra: la quale invece cerca il “centro”, difende il mercato o si gingilla con un “antagonismo” fraseologico mentre operai, lavoratori precari o a reddito insufficiente, pensionati, famiglie povere, giovani in cerca di avvenire, cittadini tartassati da tasse o rifiuti se ne vanno verso la Lega o la sfiducia.

Pubblicato il: 18.04.08
Modificato il: 18.04.08 alle ore 14.44
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giovedì 17 aprile 2008

fondare un nuovo soggetto politico

Soltanto i gruppi oligarchici dei partiti azzerati dall'elettorato di sinistra hanno interesse ad una gestione burocratica, centralistica e sostanzialmente restauratrice di questa fase successiva al loro fallimento politico e storico. Anche l'analisi più impietosa ed autocritica dei comportamenti recenti ma che comunque affondano in un tempo assai più lungo di abbandono dei lavoratori e delle radici popolari non è sufficiente a consentire un restauro previo maquillage di quanto è stato ridotto in rovine. Un periodo si è chiuso per sempre.

Dobbiamo dire no a qualsiasi tentativo di organizzare Congressi che non siano di scioglimento del PSI, di Rifondazione Comunista, dei Comunisti Italiani, dei Verdi.

Organizzare una vera Convenzione Nazionale che stabilisca il progetto di un grande Partito Socialdemocratico inserito nella tradizione italiana ed europea ma in grado di decifrare la realtà della globalizzazione ed i nuovi compiti della sinistra di classe.
il 15 aprile è finita la lunga epoca storica cominciata con la Costituente.
La Convenzione dovrebbe essere aperta a quanti non si riconoscono nell'Italia delle destre uscite vincitrici dalle urne. Il PD bisogna considerarlo fuoriuscito definitivamente dalla storia del movimento operaio e socialista italiano.
Pietro Ancona
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sabato 12 aprile 2008

il PSI, Craxi, La Cina, la Palestina

partito socialista italiano fino a Craxi fu sempre filopalestinese.Sostenne anche finanziariamente la causa della liberazione della Palestina e Craxi fu anche incriminato per avere preso una tangente da Berlusconi di dieci miliardi di lire che passò alle casse del popolo palestinese.

In Italia esisteva un grande partito filo-arabo. Andreotti, Moro, Craxi,tutta la sinistra.......

Il Partito Socialista Italiano ebbe anche una visione assai progressista, direi rivoluzionaria, della lotta dei popoli dell'America Latina. Fu bolivariano. Craxi fu mandato da Nenni in missione diverse volte in Argentina, in Cile e altrove.

Il Partito Socialista Italian lottò strenuamente per liberare la Cina dell'isolamento in cui volevano restringerla gli americani. Pietro Nenni, Vice Presidente del Consiglio dei Ministri, feceun viaggio in Cina che fece scalpore nel mondo.

Insomma sdoganò la Cina in tutto il mondo "libero".

I governanti di oggi, i partiti di oggi, sono piccoli servitorelli degli americani.-

Forse Moro Andreotti e Craxi pagarono a caro prezzo anche questa loro apertura mentale, questo loro essere statisti di livello mondiale.
Pietro Ancona
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giovedì 3 aprile 2008

l'autonomia del socialismo italiano

Caro Spini,

non condivido per niente la lettera che hai scritto al Corriere della Sera. Se i socialisti entrano in Parlamento proporranno una nuova formazione di centro sinistra al Partito Democratico ed alla Sinistra Arcobaleno per una nuova formazione politica di sinistra.

Non capisco che cosa possa avere in comune il Partito Socialista con il programma del PD e con le sue aberranti scelte tra uomini della Confindustria e dell'Esercito più chiuso. Non capisco come fare derivare da questa prospettiva il futuro del PSI.
Con la sinistra arcobaleno bisognerebbe vedere bene la sua esperienza nel governo Prodi che ne ha esaltato il collaborazionismo subalterno a tutti i costi e non mi pare proprio che sia ansiosa di dialogare coi socialisti.

Il Partito Socialista vivrà del suo essere socialista che il PD ha abbandonato e non di espedienti postelettorali.

Pietro Anconawww.spazioamico.ithttp://pietro-ancona.blogspot.com/ http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/

mercoledì 2 aprile 2008

una polemica su "Pane e Rose "

Nietzsche e gli operai
Leggete, leggete le cose che scriveva Nietzsche sugli operai e vi passerà del tutto la voglia di considerararlo tra i maestri da tenere presente Il Nostro considerava gli operai meri strumenti della produzione, essere inferiori da cui ricavare carburante per fare marciare gli ingranaggi della società. Non sono tra i Puristi del socialismo ma non condivido questa moda della contaminazione del pensiero socialista, un pensiero di liberazione umana con il pensiero della sopraffazione dei più forti sui più deboli., E non ditemi che banalizzo le idee del filosofo tedesco.
(1 aprile 2008)
pietro ancona

lunedì 31 marzo 2008

Camilleri ed Ingrao "eroe del dubbio"



Editoriale
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Caro Camilleri,

Ingrao, da lei definito eroe del dubbio, non esitò a votare per l'espulsione del gruppo che poi diede vita al Manifesto dal PCI.

Approvò senza battere ciglio le più grandi nefandezze dello stalinismo.

Oggi viene celebrato da un importante letterato come lei quale eroe del dubbio mentre le persone che dubitarono davvero e si schierarono come Antonio Giolitti ed altri sono già stati dimenticate.

Pietro Ancona


Ingrao, l’Eroe del dubbio
Andrea Camilleri
Lunedì alle 11, a Palazzo San Macuto, a Roma, lo scrittore siciliano pronuncerà una lectio magistralis nel corso dei festeggiamenti per il novantatreesimo compleanno di Pietro Ingrao, organizzati dal Crs. Ne anticipiamo il testo.
Consentitemi di parlarvi con molta semplicità, a mio e a vostro agio. E parlarvi nemmeno da scrittore, ma da cittadino qualsiasi che però, dal 1942 ad oggi ha seguito, e continua a seguire, le vicende politiche del nostro paese, a lungo militando già fin dall’ottobre del 1943, ma tenete presente che gli Alleati sbarcarono in Sicilia nel luglio di quello stesso anno, nel Pci con alterne vicende.Dirò subito che ho accettato con slancio l’invito di portare la mia testimonianza per il compleanno di Pietro Ingrao perché, nell’unica volta che l’ho incontrato di persona, in occasione della presentazione a Roma del libro di suo nonno Francesco, fui sommerso da una timidezza improvvisa e tale da non consentirmi d’esprimergli la profondissima stima, la grandissima ammirazione e tutta l’intensità dell’affetto che nutrivo, e nutro, per lui. Quando Walter Tocci m’invitò, io pensai subito a un titolo che in qualche modo mettesse in relazione Ingrao e l’esercizio del dubbio costruttivo. Poco dopo è andata in libreria la sua conversazione con Claudio Carnieri intitolata appunto La pratica del dubbio. Mi sono sentito confortato nella scelta del mio tema che è appunto la qualità del dubbio ingraiano. Ingrao, l’ha scritto e detto tante volte, nasce poeta, amante della letteratura del suo tempo e, in seguito, si avvicina al cinema iscrivendosi con l’amico fraterno Gianni Puccini all’appena nato Centro Sperimentale di cinematografia dove, tra parentesi, insegnava anche il russo Pietro Sharov al quale, dagli anni cinquanta e fino alla sua morte, mi legherà una profonda amicizia. Insomma, pare avviato a una brillante carriera nel cinema quando, del tutto improvvisamente, abbandona il Centro sperimentale. Che abbia già abbandonato gli studi universitari in giurisprudenza (ma si laureerà qualche anno dopo), intrapresi forse solo per compiacere la famiglia è cosa che può essere capita, ma la rinunzia volontaria allo studio di una materia dalla quale si sentiva così attratto appare assai più sorprendente. Ingrao ne fornisce una sua spiegazione. Scrive che l’abbandono del Centro Sperimentale fu motivato in sostanza dal contraccolpo provato per l’inizio della guerra di Spagna. Considero questo un punto assolutamente nodale del suo percorso, ma Ingrao mi pare che si limiti sempre a farne breve cenno. Forse per un alto senso di pudore. Perché penso che la guerra di Spagna invece sia stata per lui qualcosa di più di un tragico impatto, sia stato un autentico, squassante cortocircuito. Tutti gli altri suoi compagni e amici, antifascisti come lui, ad esempio, non interruppero certo gli studi o le attività intraprese per il golpe di Franco. Ingrao, sì. Penso che Ingrao ebbe in quel momento la lucida percezione di quello che in realtà veniva a significare la guerra di Spagna e ne ebbe esistenziale sgomento. Su di lui, sulla sua sensibilità, gravavano già da tempo quelli che Vittorini avrebbe chiamato «i dolori del mondo offeso» e la guerra di Spagna consisteva in un insopportabile aggravio dell’offesa. Inoltre veniva a costituirsi come un nitido spartiacque tra fascismo e antifascismo, tanto che gli intellettuali di tutto il mondo vennero strattonati dalla Storia e scelsero l’antifascismo, comprendendo che si trattava non di una guerra locale, ma di uno scontro frontale che coinvolgeva il mondo intero. Scriveva Hemingway: «Se vinciamo qui, vinceremo dappertutto». Già, ma se si perdeva? Vide giusto Gustav Regler, quando cominciava a delinearsi la sconfitta: «Ora che una guerra finiva, credetti di sentire passare nel vento l’odore di cadavere delle prossime ecatombi».Ecco, sono convinto che Ingrao venne allora preso da un dubbio che indirizzò diversamente la sua vita: il dubbio cioè che l’arte da sola e in sé, e in quel momento specifico, fosse assolutamente inadeguata a far barriera contro il fascismo. Io non so se all’epoca le maglie della censura fascista sull’informazione giornalistica avessero permesso, sia pure tra le righe, di lasciar capire quale vasta mobilitazione era in atto e quindi se lui era a conoscenza di quanti artisti e intellettuali fossero andati a combattere in prima linea, col fucile prima ancora che con la penna, da Hemingway a Orwell a Malraux a Saint-Exupéry e a tantissimi altri, certo è che egli in quei mesi, oltre a leggere testi che potessero fornirgli le armi della conoscenza, da Salvemini a Rigola, Trockij, Rosenberg, sente sempre più un’urgenza nuova. Scrive infatti: «Intanto dentro di te si compie una decisione nemmeno dichiarata. Muta il “che fare”: come domanda interna, prima ancora che essa diventi azione esplicita. Cominciò per me un nuovo rapporto con la politica. Mi strappò all’Arcadia».Quindi dal dubbio nasce un meditato agire. Personalmente, provo profondo disagio davanti a chi crede d’avere in sé solo certezze assolute. Contraddirsi, a molti, sembra espressione di malferma personalità e invece così non è, è tutto l’opposto. Per inciso, vorrei ricordare che Leonardo Sciascia in un primo momento voleva che sulla sua pietra tombale fosse scritto «Visse e si contraddisse», ma poi anche lui ci ripensò, contraddicendosi. A questo proposito, c’è un pensiero esemplare nel libro II dei Saggi di Montaigne: «Mi sembra che la madre nutrice delle opinioni più false e pubbliche e private sia la troppa certezza, la troppa buona opinione dell’uomo in sé…»Per quel che mi riguarda, io mi sconfesso continuamente.Il dubitare di Ingrao è sempre, come dire, la messa in moto di un motore che attivamente elabora il che fare più attinente al fine proposto. In altri termini, non è mai la messa in dubbio del perché, ma del come. Certe altre volte il dubbio è inespresso, soprattutto quando Ingrao avverte una fortissima disparità tra la pochezza dei mezzi a disposizione per affrontare un obiettivo che appare impari. Questo dubbio, per esempio, traspare in tutte le pagine che in Volevo la luna si riferiscono al gruppo dei giovani antifascisti romani, e si condensa in un solo aggettivo più e più volte ripetuto: «gracile». Ma il dubbio sulla gracilità del gruppo non significa mai la possibilità dell’ipotesi dell’abbandono della lotta, significa semmai la lucida presa d’atto di una situazione secondo la quale sviluppare l’agire.Ma c’è un altro punto nodale nella vita politica di Ingrao che, ai miei occhi, ha la stessa valenza di quello del 1936. È la richiesta da lui fatta, nel 1966, nel corso dell’XI congresso del partito, di libertà del dissenso. Com’è logico supporre, una tale ardita richiesta all’interno di una struttura rigida, gerarchica e centralista non può che essere la disperata, e ormai non più cancellabile somma finale di un innumerevole dubitare accumulato nel corso degli anni. E questa somma finale ha una precisa definizione: dissenso. Perché questo dissenso? Scrive Ingrao: «In quella mia rivendicazione di libertà del dissenso c’era non solo il drammatico stimolo che era venuto dalla rivelazione dei delitti di Stalin, ma una convinzione più profonda che aveva anche a che fare con una riflessione sull’esistere. Mi muoveva non solo la tutela della libertà di opinione, ma ancor più la convinzione che il soggetto rivoluzionario era un farsi del molteplice: l’incontro fluttuante di una pluralità oppressa che costruiva e verificava nella lotta il suo volto».«Un farsi del molteplice». È in sostanza anche questa una crisi esistenziale e politica che nasce dalla crisi di una certa concezione ristretta della politica e postula una sua rifondazione nel recupero di quella che Hannah Arendt chiamava la politica perduta.Ancora nel ‘66, data la posizione che Ingrao occupava nel partito, ci voleva molto coraggio per proclamare pubblicamente la necessità del dubbio, del dissenso. Coraggio politico, certo. Ma a me appare anche e soprattutto un atto di coraggio umano. Perché è notorio che l’uomo comune nutre una forte diffidenza verso chi dubita, non è un caso che sia stata popolarescamente coniata l’espressione «cacadubbi». Allora, qual è la funzione positiva del dubbio secondo Ingrao? Sentiamo le sue parole. «Mi appassionava la ricerca. E il dubbio mi scuoteva, vorrei dire: mi attraeva. Vedevo in esso una apertura alla complessità della vita. Dubitare mi sembrava l’impulso primo a cercare: aprirsi al “molteplice” del mondo…». E ancora: «Il dubbio per me non significava povertà: anzi apertura di orizzonti, audacia nel cercare. Sì, vivevo il piacere del dubbio. E avvertivo anche una ricchezza per quell’interrogarsi, cercando. Come se il mondo - nella sua problematicità - si dilatasse attorno a me».Molti di voi ricorderanno l’incipit delle Meditazioni metafisiche di Cartesio. «Già da qualche tempo mi ero accorto che, sin dai miei primi anni, avevo accolto per vere molte opinioni false, e che ciò che avevo poi costruito su principi tanto malfermi, non poteva essere che assai dubbio e incerto». Il punto di partenza dal quale Ingrao muove ha una diversità di non poco peso, vale a dire che le opinioni da lui accolte all’inizio non si erano in seguito rivelate del tutto false e ingannevoli, ma continuavano ad essere sostanzialmente vere. Il dubbio allora nasceva non dall’opportunità, ma dalla necessità d’accogliere o meno le inevitabili modificazioni che quelle basilari opinioni via via subivano nel convulso procedere della Storia, senza che però ne intaccassero la verità di fondo. Ho detto convulso ma forse avrei dovuto dire compresso. Non a caso Hobsbawm ha definito il ‘900 «il secolo breve», per la somma di accadimenti politici, scientifici, sociali avvenuti nei suoi cento anni, con una rilevante accelerazione, motus in fine velocior, nel secondo cinquantennio. Il dubbio quindi come mezzo di conoscenza, cioè un dubbio di marca cartesiana per il quale ogni dubbio doveva risolversi nella scoperta di un nuovo territorio su cui avventurarsi. E su questi nuovi territori di conoscenza Ingrao si è sempre inoltrato non per il gusto dell’avventura intellettuale in sé, ma quasi per assolvere a un dovere politico e umano. Dovere che non gli ha mai impedito di godere nel contempo del piacere stesso del dubbio e della sua risoluzione. E che non gli ha impedito mai il fare concretamente politica e di assumersi in prima persona l’impegno di responsabilità di partito e istituzionali.Direttore dell’Unità dal 1947 al 1956; deputato dal 1948 per dieci legislature fino a quando, nel 1992, chiede di non essere rieletto; nella segreteria del partito dal 1956 al 1966; nel 1968 presidente del gruppo parlamentare comunista alla Camera; presidente della Camera dei deputati dal 5 luglio 1976 fino al 1979, quando chiederà al partito di non essere ancora ricandidato e al suo posto subentrerà Nilde Jotti.Mi sbaglierò, ma io sono convinto che del suo impegno politico egli sia rimasto maggiormente legato al periodo 1944-45, quando, in una grigia Milano con il piede straniero sopra il cuore, lavorava all’edizione clandestina dell’Unità , quando il vivere e l’agire quotidiani erano un azzardo, quando la possibilità dello scacco era dietro ad ogni angolo, quando si era uomini e no. In quei giorni la lotta era passione, impegno di tutto se stesso, «fatale come una necessità biologica», e chi era uomo, per il solo fatto di esserlo, era anche potenzialmente un eroe. Non vi sembri una parola eccessiva. Cercherò di spiegarne il significato e la ragione per cui mi sento di adoperarla attraverso una frase, della quale vogliate perdonare la lunghezza, tratta da L'Eroe e l'uomo, un saggio compreso nel volume intitolato Senso e non senso di Maurice Merleau-Ponty. Dopo avere lungamente esaminato i protagonisti di Per chi suona la campana di Hemingway, della Condizione umana di Malraux e di Pilota di guerra di Saint-Exupéry, Merleau-Ponty così conclude: «L’eroe dei contemporanei non è scettico, né dilettante né decadente. Senonché, ha l’esperienza del caso, del disordine e del fallimento, del ‘36, della guerra di Spagna, del giugno ‘40. È in un tempo in cui i doveri e i compiti sono oscuri. Prova meglio di quanto non si sia mai fatto la contingenza del futuro e la libertà dell’uomo. Considerando bene le cose, niente è sicuro: né la vittoria, ancora tanto lontana, né gli altri, che hanno spesso tradito. Mai gli uomini hanno verificato meglio che il corso delle cose è sinuoso, che molto è richiesto all’audacia, che sono soli al mondo e soli l’uno di fronte all’altro. Talvolta però, nell’amore, nell’azione, s’accordano fra di loro e le vicende corrispondono alla loro volontà…». L’eroe dei contemporanei non è Lucifero, non è nemmeno Prometeo, ma è l’uomo. L’uomo comune, l’uomo che puoi incontrare all’angolo della strada.E in questo senso, con il viatico di Merleau-Ponty e totalmente spoglio di ogni esaltazione retorica, mi sento di considerare Ingrao un perfetto eroe dei nostri anni. Volevo la luna, ha intitolato Ingrao il suo più recente libro autobiografico. E pare d’avvertire, nel titolo, come una certa disillusione per non essere riuscito a ottenerla.È vero, la luna non è diventata né sua né nostra, se la sono presa gli americani.Ma Ingrao sulla sua personale luna ci è sbarcato, eccome se ci è sbarcato, non ci ha messo nessuna bandiera, se l’è esplorata tutta e ne ha fornito una meravigliosa, unica e irripetibile relazione di viaggio attraverso la sua stessa vita.
Pubblicato il: 30.03.08Modificato il: 30.03.08 alle ore 8.42


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domenica 30 marzo 2008

norme costituzionali

Le norme costituzionali
Chissà perché i sindacati non chiedono mai che siano rispettati i diritti dei lavoratori al lavoro (Costituzione, articolo 4, primo comma), a una retribuzione sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa (Costituzione, articolo 36, primo comma), a un sussidio di disoccupazione adeguato alle esigenze di vita (Costituzione, articolo 38, secondo comma) e alla cogestione (Costituzione, articolo 46). E chissà perché, infine, i sindacati non chiedono mai che le pensioni siano adeguate alle esigenze di vita del lavoratore che non può più guadagnarsi il salario o lo stipendio perché è vecchio (Costituzione, articolo 38, secondo comma)!Mario Scrawls, San Donato Milanese,

Sul socialismo italiano

La lettera del giorno Domenica 30 Marzo 2008IL FUTURO DEI SOCIALISTI IL DILEMMA DEL VOTO UTILE
In merito alla sua risposta a un lettore che stigmatizzava il silenzio del Corriere sul rinnovato Partito socialista, mi permetta alcune riflessioni. In primo luogo non condivido l'affermazione che in Italia non manchi "programma politico simile a quello delle maggiori socialdemocrazie europee" e che lei, evidentemente, identifica nel programma del Partito democratico. Le cosiddette socialdemocrazie europee accampano nelle politiche pubbliche una visione laica del ruolo di governo che, seppure rispettosa delle identità e delle comunità religiose, non abdica a pressioni. È in grado dunque di affermare che sui diritti civili e sulla libertà di ricerca scientifica Veltroni e il Pd sono simili al Psoe di Zapatero o ai laburisti di Blair e Brown? Oppure che il Pd (ma anche il Pdl) potrà portare avanti la battaglia ai monopoli (aziende del servizio pubblico locale), ai duopoli (sistema televisivo) e agli oligopoli (banche, assicurazioni) del sistema italiano? Francamente credo di no e la ragione sta nel fatto che, nascendo da due subculture politiche e territoriali ben conosciute, appoggiandosi a un sistema di interessi economici consolidati, il Pd non potrà operare più di tanto. Lo si è visto con le "lenzuolate" liberalizzatrici che hanno colpito volentieri barbieri e tassisti ma solo marginalmente banche e assicurazioni, sistema editoriale e professioni. In secondo luogo sono sorpreso dalla sua adesione di fatto alla teoria del voto utile. Credo che il voto debba essere innanzitutto libero di fronte a chi non è riuscito per 15 anni a trovare una dignitosa strada per rifondare le Istituzioni e che, per essere realmente utile, debba premiare chi intende portare avanti una battaglia riformatrice vera, impostata su idee chiare che si rifanno all'azione e al pensiero culturale e politico europeo e non alle consuete anomalie.Pieraldo Ciucchi, Presidente gruppo Ps, Consiglio regionale Toscana, segretario regionale Ps,
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Caro Ciucchi, Lei ha ragione quando osserva che il Pd è meno laico di quanto non siano le maggiori socialdemocrazie europee. Ma ogni Paese ha una storia propria di cui non può facilmente sbarazzarsi. L'Italia, in particolare, è stata governata per quasi cinquant'anni da un partito- la Democrazia Cristiana -che fu molto meno moderato e conservatore di quanto non piacesse alle sinistre rappresentarlo. Vi era nel suo seno una sinistra cattolica che s'ispirava alla politica sociale della Chiesa ed era stata attratta negli anni Trenta dall'economia corporativa del regime fascista. Questa corrente della Dc fu spesso molto più anticapitalista, dirigista e interventista di quanto non fossero i socialdemocratici di Giuseppe Saragat e i socialisti di Bettino Craxi. È bene ricordare che l'Italia, fra le maggiori democrazie europee, fu la sola in cui esistessero due Confindustrie: quella degli imprenditori privati a viale dell'Astronomia e quella delle aziende pubbliche al ministero delle Partecipazioni statali. Quando la Dc entrò in crisi, all'inizio degli anni Novanta, la sinistra cattolica si dimostrò più resistente e tenace di altre correnti del partito. Divenne sempre più evidente, negli anni successivi, che un partito di sinistra riformista, in Italia, non avrebbe mai potuto aspirare alla maggioranza e diventare forza di governo se non fosse riuscito a rappresentare contemporaneamente la sinistra laica e quella d'ispirazione cristiana. Senza un accordo fra queste due forze, la sinistra sarebbe stata divisa tra partiti più o meno piccoli, tutti ricchi di gloriose tradizioni, ma destinati a svolgere un ruolo complessivamente modesto nella vita del Paese. Se questa è la nostra storia politica, i socialisti, a mio avviso, farebbero bene a prenderne atto. È meglio conservare una illusoria e irrilevante indipendenza o far valere le proprie ragioni in un partito che ha qualche ragionevole possibilità, prima o dopo, di governare il Paese? Sulla questione del "voto utile" temo quindi che le nostre posizioni, caro Ciucchi, siano molto diverse. Non credo che i cittadini di una grande democrazia debbano andare alle urne per esprimere posizioni di principio o rivendicare la nobiltà di antiche tradizioni politiche o formulare progetti che non verranno realizzati. Devono scegliere pragmaticamente fra il "peggio ", rappresentato dal partito che non riscuote la loro fiducia, e il "meno peggio", rappresentato dal partito che offre qualche garanzia di proteggere al meglio i loro interessi. I programmi possono dare un'idea generale delle intenzioni dei partiti, ma non sono e non possono essere vincolanti. Non appena costituiti i governi europei, di sinistra o di destra, si muovono tra scogli e paletti (dalle direttive di Bruxelles ai contraccolpi delle crisi economiche e finanziarie) che nessuno di essi è in condizione di rimuovere. Come abbiamo constatato nel caso del governo Prodi, quanto più i programmi sono dettagliati tanto maggiori saranno le delusioni degli elettori.

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Caro Professore,

nella risposta alla lettera del socialista Ciucchi lei accredito il Partito Democratico come il corrispondente italiano dei partiti della socialidemocrazia europea. Non è vero. Il PD di Veltroni è il prodotto dell'incontro storico di due fallimenti: la democrazia cristiana ed il Partito Comunista. Non ha niente in comune con la socialdemocrazia europea e non soltanto per le questioni della laicità. L'Italia è sempre una anomalia. ieri con il PCI enorme al posto della socialdemocrazia oggi con il PD ha ha connotazioni liberiste simili al partito di Berlusconi. Di socialista in Italia è rimasto soltanto il Partito Socialista. Avrà poco e forse scomparirà dal Parlamento. Ma i postcomunisti ed i postdemocristiani non potranno mai prenderne il posto. Pietro Ancona


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Caro Ciucchi,

ho letto ed apprezzato la bella e convincente lettera che hai scritto al Corriere e che io ho riprodotto nel mio blog Socialismo.

Mi dispiace soltanto che non hai richiamato lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori voluto da Brodolini e che i Vultrusconi vorrebbero abolire.

Veltroni è mallevadore di quel tale Ichino che vorrebbe subito abolire l'art.18.

Ancora complimenti ed auguri da un vecchio socialista non "inutile"

Pietro Anconawww.spazioamico.ithttp://pietro-ancona.blogspot.com/ http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/

sabato 22 marzo 2008

genocidio della politica italiana

Buona Pasqua e buon equinozio di primavera

GENOCIDIO POLITICO
Il Presidente della Repubblica è intervenuto per affermare l'utilità del voto, fondamentale strumento di democrazia,comunque dato e non soltanto se per le due maggiori concentrazioni politiche italiane del Partito delle Libertà e del Partito Democratico.
Queste due concentrazioni politiche hanno usato una infame legge elettorale per negare la possibilità di accedere al Parlamento alle formazioni politiche che non hanno il 4 per cento di consensi per la Camera dei Deputati e l'otto per cento per il Senato.
L'appello del Presidente non è sufficiente a garantire il corpo politico italiano dal momento che tutto il sistema informativo dai giornali alla televisione ignora l'esistenza ed i programmi delle formazioni politiche minori e tende a personalizzare la campagna elettorale attorno alle figure di Berlusconi e Veltroni che risultano dominanti a di gran lunga maggiori di tutti gli altri.
I programmi delle due maggiori formazioni politiche tendono ad assomigliarsi non tanto per convergenza virtuosa sui mezzi per risolvere i problemi della società italiana quanto perchè tendono a conquistare lo stesso elettorato quello di centro e cioè ad esprimere gli interessi dello stesso blocco sociale che è quello che esclude il lavoro dipendente, i pensionati, i precari, gli immigrati.
Ridurre il Parlamento alla espressione bipartitica di questo blocco sociale è operazione profondamente reazionaria ed antidemocratica destinata ad accrescere il conflitto sociale dal momento che quanti si riconosconono nella tradizione del movimento socialista o in altre espressioni politico-culturali diverse da quelle veltroberlusconiane saranno esclusi. Inoltre, la dichiarazione di
Veltroni di rinunzia a qualsiasi alleanza con la sinistra anche se dovesse pagarne il prezzo di cedere il potere a Berlusconi
ed ai suoi alleati aggrava l'esclusione, quasi un colpo di stato, degli interessi di tutte le classi legate al lavoro dipendente-
In sostanza anche se i lavoratori continueranno a votare il loro voto non avrà più alcun valore dal momento che i partiti che
esprimono i loro interessi sono aprioristicamente o esclusi dal Parlamento o ignorati da coloro che raccolgono il grosso dei consensi della società italiana.
Avremo uno svuotamento della Costituzione italiana fondata sul lavoro. Non è escluso che i due maggiori partiti riformeranno profondamente la Costituzione adattandola alle loro esigenze ed escludendo l'ispirazione fondamentale che l'ha fatta nascere e cioè garantire a tutti i cittadini italiani parità di diritti e di opportunità ed adeguata rappresentanza politica.
Per questo mi auguro che tutti i partiti della tradizione democratica italiana a cominciare dal Partito Socialista superino le difficoltà ed abbiano la possibilità di accedere il Parlamento a rappresentare l'opinione di quanti non delegano ai partiti di Berlusconi e Veltroni la rappresentanza dell'intera società italiana e della sua storia civile.
Pietro Anconawww.spazioamico.ithttp://pietro-ancona.blogspot.com/ http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/

venerdì 7 marzo 2008

Un fatto incoraggiante!

Roma, 7 marzo 2008 -
"Non è possibile lasciare ai romani la sola possibilità di scelta tra un candidato papista e uno dei clericofascisti. Noi non vogliamo che Roma sia governata dalla destra, la peggiore destra in Italia, ma vogliamo riportare i temi del socialismo e della laicità a Roma e quindi in Italia".
Così Franco Grillini ha annunciato ufficialmente la sua candidatura a sindaco di Roma e, nel farlo, ha spiegato che "la decisione è arrivata dopo il rifiuto e la discriminazione inspiegabili e inspiegati che il Pd ha fatto nei confronti del Partito Socialista". Per l'annuncio dell'inizio della corsa al Campidoglio, la sede prescelta è stata quella della 'casà storica del Partito Socialista a Roma, i locali del civico 26 di piazza San Lorenzo in Lucina.
Accanto al candidato siedono i maggiorenti del Partito Socialista: il vicepresidente del Senato Gavino Angius, il presidente del partito Enrico Boselli, il segretario romano Atlantide Di Tommaso e Alberto Benzoni, già vicesindaco con Luigi Petroselli.

RUTELLI INVOTABILE
È il candidato del Pd, Francesco Rutelli il primo bersaglio di Grillini: "È stato protagonista della spinta anti socialista nel Pd - spiega - e Rutelli è stato il sindaco che nel 2000 ritirò il patrocinio al World Pride". Continua, il candidato, a citare i passaggi che, a suo dire, rendono impraticabile la strada di un apparentamento tra socialisti e Pd, dal referendum sulla legge 40 al muro contro muro che, in Campidoglio, il Pd ha opposto al Registro delle unioni civili.
Enrico Boselli ricorda di essere "rimasto colpito dalla decisione che Walter Veltroni prese due mesi fa quando, alleandosi con la destra, impedì l'istituzione del Registro delle unioni civili, lasciando in questo modo 60 mila coppie romane prive di diritti. I sindaci socialisti di Parigi e Londra si sarebbero vergognati".
Di fronte a questo precedente il presidente dei socialisti sente di poter dire che «da sindaco Rutelli farà anche di peggio. Per questa ragione penso sia giusto scendere in campo».

Il tema dei diritti civili è stato il terreno dove più forte si è consumata la frattura fra i socialisti e il Pd. In particolare, Grillini parla della decisione di Veltroni di impedire l'istituzione del registro delle unioni civili, decisione definita "un fatto grave perchè il Pd si è unito alla destra", aggiunge il candidato socialista. "Il registro era un'iniziativa di carattere simbolico, perchè occorre una legge nazionale, ma centinaia di Comuni lo hanno approvato proprio come contributo". Quanto a Rutelli, per Grillini resta "il protagonista della spinta antisocialista e clericale nel Pd. Nel 2000, quando era sindaco, ritirò il patrocinio al World Pride".

APPOGGIO DELL'ARCIGAY
"Arcigay esprime pieno appoggio alla battaglia di Franco Grillini, che ha come primo obiettivo di dare voce a tutti quegli elettori che vogliono esprimere un voto per un candidato sindaco concretamente impegnato nelle battaglie di laicità di libertà". E' quanto afferma in una nota l'associazione Arcigay. "Riteniamo, quindi, che tutte le persone lgbt e quelle che si adoperano per una riforma civile e sociale nel Paese, possano riconoscersi e sostenere la candidatura di Franco Grillini a sindaco di Roma".
LISTE A SOSTEGNO
A sostegno di Franco Grillini, candidato sindaco di Roma, «stanno nascendo, oltre alla lista del Partito socialista, altre due liste». Lo ha annunciato il presidente dei socialisti, Enrico Boselli, presentando oggi la candidatura di Grillini per il Campidoglio. «La sua lista - spiega Boselli - accoglierà uomini e donne della cultura radicale e repubblicana in difesa della laicità dello Stato e per le unioni civili. Il Partito socialista sottolinea positivamente la scelta dei compagni di Roma perchè ritiene che questa sia la città delle mille differenze, delle mille culture ed è per questo necessario un contributo che si batta per i diritti civili individuali».
Per quanto riguarda le altre due liste, "ve ne sarà una civica e un'altra - spiega Grillini - che non voglio anticipare Si tratterà comunque di una lista trasgressiva, birichina, dedicata al mondo della notte e del tempo libero. Non è una novità - conclude Grillini - ne esiste una anche a Parigi ed ha sostenuto l'elezione del sindaco Bernard Delanoe».

LE '3 T' DI GRILLINI
Dopo le '3 I' di Silvio Berlusconi, nella campagna elettorale irrompono le '3 T', talento, tecnologia e tolleranza, di Franco Grillini, che oggi ha annunciato la sua candidatura a sindaco di Roma per il partito socialista. In particolare, Grillini promette "internet gratis e accessibile a tutti estendendo la rete wi-fi". E ancora: "Mi occupero' della vita quotidiana dei romani, di tutti i romani".
Grillini sara' appoggiato da tre liste: una socialista, una d'ispirazione laica e una terza che lui definisce "molto trasgressiva, birichina e dedicata al mondo della notte e del divertimento". Sul sito internet del candidato, www.grillinisindaco.it saranno pubblicati gli sms (da inviare al numero 331/7076401) dei cittadini che vogliono dare suggerimenti per la campagna elettorale.

mercoledì 27 febbraio 2008

lettera a sansonetti. Astensione dal voto

Caro Sansonetti,

ti ho sentito dire in TV che il programma del PD sembra copiato da quello di Berlusconi. E' vero,
La somiglianza non riguarda solo il programma ma anche l'atteggiamento sui problemi che si presentano di volta in volta. Ieri Veltroni non si è peritato dall'affermare che per la pedofilia anche la castrazione chimica potrebbe essere una risposta.
Insomma si è realizzata una vera e propria rivoluzione politica. La destra ha conquistato l'Italia. L'Italia ha vissuto per circa cinquanta anni una dialettica tra centro e sinistra.La destra è stata quasi sempre esclusa dal potere. Questa dialettica ha fatto la civiltà dell'Italia, le sue leggi migliori, ha dato diritti alle persone.
Ora circa il novanta per cento dello spazio politico è occupato da due partiti di centro-destra. La sinistra italiana che ha sfiorato in passato il cinquanta per cento è ridotta all'otto per cento (se va bene il dieci). Questa sinistra la vedo demotivata, sulla difensiva, oppressa da un invecchiamento interno e da zavorre di nomenclatura. Nei due anni di governo con Prodi è stata come ipnotizzata dallo sguardo del serpente.
Questa sinistra non è stata neppure in grado di stendere la mano ai socialisti magari soltanto per aumentare la massa critica esterna al PD e
creare una possibilità di nuova sinistra.
Non c'è proprio alcuna ragione per andare a votare.Pietro Anconawww.spazioamico.ithttp://medioevosociale-pietro.blogspot.com/http://pietro-ancona.blogspot.com/

sabato 23 febbraio 2008

Il Kossovo: un attacco alla Pace

Corriere della Sera. Risponde Sergio Romano
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La lettera del giorno Sabato 23 Febbraio 2008KOSOVO INDIPENDENTE PERCHÉ PIACE AGLI AMERICANI
Nel 1995-96, a cavallo degli accordi di Dayton, ero a Belgrado a capo della missione di osservazione della Ue per Serbia e Montenegro. Incontrai i vertici politici e istituzionali, e delle organizzazioni internazionali presenti nell'area. Fui ricevuto da Ibrahim Rugova, capo del movimento che rifiutava, all'epoca in modo quasi esclusivamente pacifico, ogni contatto con le autorità serbe, promuoveva la creazione di scuole parallele a quelle ufficiali. Ma ancora non era presente in armi (armi prevalentemente ricevute dall'Albania dopo la crisi del 1997) l'Uck, che poi avrebbe innescato la catena di violenze che determinarono la reazione altrettanto violenta della parte serba. Venendo al presente, molti pensano che un Kosovo indipendente potrebbe diventare un crocevia di attività illegali.Inoltre i 100.000 serbi residenti in varie «enclave» richiederebbero un impegno permanente della Comunità internazionale per la tutela della loro integrità fisica; senza parlare della Chiesa ortodossa e dei suoi monasteri ricchi di opere d'arte. Il Patriarca Pavle, che incontrai più volte, manifestava preoccupazioni per il futuro della sua Chiesa in Kosovo. E poi si dice «regaleremmo la Serbia a Putin riconoscendo l'indipendenza del Kosovo» e inoltre si potrebbero scatenare altre rivendicazioni di indipendenza, il diritto internazionale sulla sovranità degli Stati verrebbe violato e ancora sembra chiaro che l'attuale cosiddetta classe dirigente del Kosovo non sia affidabile né all'altezza del compito. E allora perché gli Usa e larga parte dei Paesi Ue (inclusa la nostra Italia) riconoscono l'indipendenza del Kosovo? Perché non vengono esercitate pressioni sul governo serbo affinché al Kosovo venga riconosciuta una autonomia regionale anche più ampia di quella che Tito a suo tempo concesse e in parte Milosevic limitò? E perché non fare pressioni sui kosovari affinché la accettino?Gen. B. (ris) Antonio Torsiello, antonio.torsiello@fastwebnet.it
E sistono immagini televisive riprese a Rambouillet nel febbraio del 1990, dove i ministri degli Esteri delle maggiori potenze occidentali prepararono un lunghissimo documento di lavoro sul Kosovo (in parte costituzione, in parte programma di lavoro politico- amministrativo) che il presidente jugoslavo Milosevic rifiutò di sottoscrivere. In una immagine si vede il segretario di Stato americano Madeleine Albright (il presidente era Bill Clinton) che accoglie e abbraccia affettuosamente un giovane alto, magro e visibilmente felice dell'accoglienza riservatagli dal ministro degli Esteri della maggiore potenza mondiale. Il giovane è Hashim Thaci, oggi Primo ministro del Kosovo, allora leader della guerriglia kosovara e meglio noto con il nome di battaglia «Serpente ».In una intervista al Corriere (18 febbraio) Miodrag Lekic, ambasciatore di Jugoslavia a Roma durante i bombardamenti della Nato in Serbia, ha ricordato che i guerriglieri dell'Uck erano allora, nel giudizio dell'Onu, terroristi. È vero. Il 31 marzo del 1998, un anno prima dell'incontro di Rambouillet, il Consiglio di sicurezza dell'Onu approvò la risoluzione n. 1160 con cui viene condannato sia l'uso eccessivo della forza da parte della polizia serba, sia tutti gli atti di terrorismo dell'Esercito di Liberazione del Kosovo (Uck). Sappiamo che gli americani «non parlano con i terroristi» e che non smettono di ricordarcelo ogniqualvolta qualcuno sostiene che il dialogo con Hamas potrebbe essere utile alla soluzione dell'imbroglio israelo- palestinese. Ma in quella occasione vollero che l'Uck venisse a Rambouillet e diventasse il legittimo interlocutore della diplomazia internazionale. In un'altra intervista al Corriere lo storico americano Richard Pipes ha ricordato che gli Stati Uniti sono nati da una guerra di liberazione e «non possono che essere dalla parte del Kosovo». Ma credo che la politica di Clinton nel 1999 e quella di Bush oggi non siano motivate soltanto da considerazioni ideali e rientrino nelle grandi linee della strategia che gli Stati Uniti hanno perseguito in Europa negli ultimi quindici anni. Mentre Bush senior, nel 1991, aveva cercato di mantenere intatti, per quanto possibile, gli equilibri politici e territoriali scaturiti dalla Seconda guerra mondiale, i suoi successori hanno assecondato la frammentazione del-l'Urss e della Jugoslavia. Lo hanno fatto nella convinzione che i nuovi Stati sarebbero diventati amici dell'America e le avrebbero permesso di estendere la sua influenza nei territori occidentali della vecchia Unione Sovietica, nei Balcani, nel Caucaso e nel Caspio. Per ottenere lo scopo hanno offerto a questi Paesi l'ingresso nella Nato e hanno esortato l'Unione europea ad accoglierli nel suo seno. Con un doppio risultato: irritare la Russia, colpita nel suoi interessi, e diluire l'Ue sino a rendere sempre più difficile l'espressione di una politica estera europea. Capisco che l'indipendenza del Kosovo possa piacere agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna. Mi è difficile capire perché piaccia alla Francia, alla Germania e all'Italia.

Sabato 23 Febbraio 2008
KOSOVO INDIPENDENTE PERCHÉ PIACE AGLI AMERICANI Gen. B. (ris) Antonio Torsiello -->

venerdì 15 febbraio 2008

PD,Di Pietro e la Calabria

PD e Di Pietro


Mi sono chiesto perchè il PD scelga di fare una grossa eccezione alla sua linea di stare da solo nel teatro elettorale apparentandosi con la lista Italia dei Valori di Di Pietro mentre continua ad essere irremovibile nei confronti dei socialisti e poco accondiscendente con i radicali.
Nei confronti dei socialisti l'atteggiamento di Veltroni e del PD è particolarmente odioso e repellente: i socialisti hanno sdoganato il vecchio PCI oggi DS presso l'internazionale socialista, sono stati alleati fedeli, hanno inghiottito assieme alla sinistra arcobaleno gli enormi rospi imposti dal governo Prodi garantendone la sopravvivenza.
I socialisti non sono certamente estremisti. Non rivendicano (sbagliando) l'eredità di Brodolini e di Riccardo Lombardi e sono liberisti tanto quanto Veltroni e Franceschini. Allora perchè vengono lasciati fuori dal Parlamento ? E' lecito per il PD profittare della propria forza elettorale e di una legge elettorale iniqua per cancellare una forza storica e culturale come il PSI dal Parlamento italiano?
E' un abuso, una vigliaccheria perpetrata a sangue freddo da chi si accinge a sfasciare assieme a Berlusconi la Costituzione ed a dividersi l'Italia senza testimoni scomodi.
Sono convinto che l'alleanza di Veltroni con Di Pietro abbia radici e motivazioni in Calabria. La Calabria si trova in istato di grave emergenza legale. Il Consiglio regionale dovrebbe essere sciolto per gravissime infiltrazioni mafiose. Il centro-sinistra calabrese (oggi PD) è al centro della faccenda calabrese.
Alleandosi con Di Pietro il PD nasconde alla luce del sole la situazione calabrese.
Pietro Anconawww.spazioamico.ithttp://medioevosociale-pietro.blogspot.com/http://pietro-ancona.blogspot.com/

sabato 9 febbraio 2008

la randellata

mentre i socialisti erano intenti a preparare il loro congresso di unificazione, il primo dopo la diaspora, arriva inaspettata sulla loro schiena una tremenda randellata di Veltroni. "Vi schifio" disse il ragioniere capo del PD. Non vi voglio nè come parenti nè come adepti. Qualcuno di voi, a mia scelta, potrà essere candidato nel PD ma deve accettare il programma.insomma si deve affiliare. E non è detto che io lo prenda.
E' stata una bella randellata che ha lasciato in un mare di confusione e di terrore la piccola oligarchia parlamentare socialista. Come faremo? Chi ci eleggerà? Ma preghiere, lusinghe, minacce non sono servite a nulla. Quale altra occasione si offriva a Veltroni per cancellare dalla faccia del Parlamento il più antico Partito Socialista d'Italia? Senza la presenza dei socialisti, la rottura con il passato forse gli è più facile. Il PD si incammina a costituire con il Partito di Berlusconi l'altra faccia
del liberismo. Il modello è il sistema politico americano articolato in due partiti che fanno più o meno la stessa politica e sono espressione degli stessi interessi sociali.Governabilità e stabilita assicurate per un pezzo specialmente dopo l'abiura dei sindacati pronunziata con la trattativa sul welfare.
Per quanto mi riguarda, penso che una esperienza di socialisti fuori non solo dal governo ma anche del Parlamento potrà anche essere stimolante, interessante, addirittura divertente. Avremo modo di vedere, dopo anni,
l'erba dalla parte delle radici, il mondo capovolto.
Ma è presto per immaginarci la nuova vita. Ci vuole ancora un mese per la presentazione delle liste. Chissà quanti saranno alla corte di Berlusconi prima che il gallo canti tre volte
/ Ma anche Berlusconi ha imparato a "schifiare". Il porcellum ha regalato a Veltroni ed a lui il ruolo di deus ex machina, di signore e padrone della vita anche di movimenti e partiti che hanno fatto la storia d'Italia.
E' questo, forse, l'aspetto più amaro di questa
specie di colpo di stato che improvvisamente ha capovolto la politica italiana. Tutta la storia politica d'Italia nelle mani di due personaggi.
Pietro Anconawww.spazioamico.ithttp://medioevosociale-pietro.blogspot.com/http://pietro-ancona.blogspot.com/

martedì 5 febbraio 2008

discontinuità con il craxismo

L'eredità di Craxi
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Mi ha colpito la rivendicazione fatta da De Michelis dell'eredità craxiana. Ha detto di essere l'unico ancora attivo di un gruppo dirigente straordinario che si era radunato attorno a Bettino Craxi per la realizzazione di un progetto politico che, però, a mio parere
finì con l'identificarsi con una mera gestione del potere.

Del gruppo dirigente cui allude De Michelis la figura più eminente era certamente Martelli Claudio che al Congresso di Verona si vantò di avere provocato un profondo e vasto turn over nella base socialista. Cinquecento mila elettori operai artigiani maestri ed altri si erano allontanati dal Partito per fare posto ad altri "rampanti",ambiziosi, vogliosi di successo. Il socialismo attraverso il successo personale conseguito facendosi strada sgomitando. Il successo consistente nei guadagni, nelle posizioni di comando, nelle relazioni sociali.....

Dei Congressi socialisti ricordo due cose: l'affollamento di migliaia di postulanti appartenenti quasi tutti al ceto medio o medio alto, signore impellicciate, toilettes di lusso, auto di massima cilindrata, gioielli esibiti sfacciatamente anche di mattina e la materiale impossibilità ad accedervi. A Verona, pur essendo delegato, il primo giorno non riuscii a mettere piede all'interno del Congresso tanta era la calca di tantissime persone richiamate dalla ostentata proclamazione della Politica come Potere sfacciatamente esibita dal gruppo dirigente. Ricordo anche la pacchiana scenografia zeppa di simboli massonici (triangolo con occhio, tempio dorico etcc..)

Del discorso di Craxi a Verona ricordo il tono minaccioso, la pesantezza di messaggi inviati ai due massimi contendenti dai quali si sentiva stretto: DC e Comunisti. Il parlamento svillaneggiato come istituzione perditempo che si occupa degli invertebrati marini. Berlinguer offeso di persona. Presente al Congresso, fischiato dalla platea, Craxi anzicchè scusarsi, disse che se fosse stato presente si sarebbe unito ai fischi. Una platea di curva ultrà sottolineava i passaggi del discorso pestando l'impiantito di legno del Congresso dal quale veniva un sordo pauroso boato.......
De Michelis parlò a lungo della necessità di svellere le radici dalla tradizione socialista.
Tutto lo psicodramma subito dai comunisti dalla Bolognina a questa parte che ha condotto al Partito Democratico dal PCI, il gruppo dirigente craxiano lo realizzò con alcune operazioni comprese dal Congresso di Torino (sostituzione del simbolo) al Congresso di Verona (liquefazione del corpo del Partito, una Assemblea (definita da Formica di nani e ballerine), proclamazione della lotta del partito come conquista progressiva di uno spazio vitale abusivamente occupato da DC e PCI a danno dei socialisti.
Credo che non abbiamo niente da rimpiangere della esperienza craxiana. La grande tradizione socialista è precedente al craxismo e comprende: la politica delle riforme di struttura (non le controriforme liberiste del PD di oggi),nazionalizzazione industria elettrica,diritti delle persone, aborto, divorzio, scuole media unificata, diritti dei lavoratori, Statuto dei diritti dei lavoratori, abolizione delle case chiuse (legge Merlin 1958) diritti delle donne.
Quanto c'è stato di buono nella Repubblica Italiana si deve quasi del tutto ai socialisti.
Craxi ha aperto le porte a Berlusconi e ne ha forgiato la potenza iniziale con leggi ed appoggi concreti che ne hanno consentito l'occupazione di un potere nel campo della informazione quasi unico al mondo. Il berlusconismo è figlio del craxismo nel suo tralignamento nella destra fascistoide e razzista del nostro Paese.
Non è un caso che parte dei socialisti si sia rifugiata in Forza Italia e non si sia fatta scrupolo di stare nello stesso schieramento di Bossi e Fini.
La nostra identità di socialisti non viene da Craxi da da Anna Kuliscioff a Brodolini.
Craxi rappresenta la reazione alla grande frustrazione dei socialisti ridotti subalterni al PCI
dalla malaccorta politica di Francesco De Martino. E' stata una esplosione di rancore per soverchierie patite dappertutto per molti anni. Ma il risentimento e l'odio per i comunisti non sono basi utili a costruire una politica valida per l'Italia. Senza il settarismo comunista
da Togliatti in poi ( mieti l'erba nell'orto del vicino), il craxismo non sarebbe mai diventato
la cellula impazzita della politica italiana.
La mancata affermazione di una discontinuità con il craxismo mantiene il Partito Socialista di oggi in una zona equivoca in cui il progetto politico è inquinato dal liberismo e dall'asolidarismo.
Soltanto una Conferenza Nazionale per il Programma può ritessere una tela da qui alle nostre radici e ci può dare un lasciapassare nel socialismo planetario contemporaneo che abbisogna degli stessi valori di libertà,democrazia, diritti che furono dei nostri padri fondatori.
Pietro Ancona

mercoledì 30 gennaio 2008

lettera a Ferrero

Caro Ferrero,

spero che avrai visto in TG 3 di stasera il servizio agghiacciante sugli schiavi africani degli agrari italiani, oramai tutti malati ed in preda a vari
malanni dovuti alla malnutrizione, alla mancanza di alloggi igienici, agli anticrittogramici.

Spero ti sarai vergognato per quanto potevi fare e non hai fatto e per questa Italia sempre più incivile e cinica anche per gente come te capace soltanto di tenere bene al caldo il proprio posto.
Pietro Ancona

venerdì 18 gennaio 2008

domenica venti gennaio 2008: attacco papista all'Italia

Cc: bertinotti@cameradeputati.it ; mARINI@posta.senato.it ; mussi@cameradeputati.it ; sindaco@comune.roma.it
Sent: Friday, January 18, 2008 10:26 AM
Subject: Domenica all'Angelus: attacco papista all'Italia.
DOMENICA ALL'ANGELUS: ATTACCO PAPISTA ALL'ITALIA
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Il Cardinale Ruini sta organizzando la vendetta del Vaticano contro l'Italia laica che ha impedito l'annessione della libera università statale "la Sapienza" di Roma alla marca clericale: domenica prossima, il consueto appuntamento del Papa con i suoi fedeli, si trasformerà in una prova di forza, in un arruolamento di tutti i presenti all'Angelus, contro la laicità dello Stato Italiano.
Non sono stati ritenuti sufficienti le scuse del Presidente della Repubblica e le servili dichiarazioni del Rettore della Sapienza, del Ministro Mussi e del Sindaco di Roma e segretario del PD Veltroni, nè hanno placato la rabbia di Ruini gli articoli di tanti pennivendoli della stampa italiana di elogio di un discorso spacciato per una summa di
elevato sapere. Non è bastata l'indegna gazzarra bipartisan di gran parte della Camera dei deputati, le richieste di licenziamento dei docenti laici, l'esclusione degli studenti laici dall'inaugurazione dell'anno accademico, le ingiurie volgari e volgarissime rivolte al fiore della fisica italiana. La Chiesa vuole mostrare i suoi muscoli, far capire che lo Stato si deve soltanto sottomettere e che le sue leggi debbono ricevere l'imprimatur della Cei e del collegio cardinalizio di vigilanza.
Sembra che non tutta la Chiesa sia convinta della giustezza di questa linea di rude scontro. Ma quanti dentro la stessa gerarchia della Chiesa e dentro la grande comunità dei cattolici vorrebbero esprimere protesta contro il fondamentalismo di Ruini vengono scoraggiati dalla pecorile acquiescenza di tanti esponenti di quella che era la sinistra italiana che probabilmente domenica prossima saranno in Piazza San Pietro, nell'artiglio
disegnato dal colonnato, con il capo cosparso di cenere, magari a piedi nudi come Enrico IV a Canossa.
Mastella, eroe bipartisan dell'oligarchia italiana sarà costretto ad andare da solo con le sue truppe cammellate alla Messa Papale. La signora Mastella" colpita perchè cattolica"
sarà purtroppo costretta a restare a casa, nella sua splendita villa di Ceppaloni guadagnata con i proventi della politica ( in Italia i politici non hanno bisogno di tangenti: bastano i loro emolumenti e privilegi ad arricchirli).
Spero di non vedere in Piazza San Pietro Veltroni e Mussi e gli esponenti della sinistra.
Domenica lo Stato Italiano sarà umiliato dalla prova di forza delle parrocchie. Molti esponenti dell' establishement parteciperanno all'opera di umiliazione. Dopo l'Angelus avremo un'Italia c he assomiglierà sempre di più
all'Iran ed agli Stati teocratici senza le ragioni che giustificano l'islamismo: la difesa della patria contro l'annessionismo imperialistico dell'Occidente.
Naturalmente, il braccio di ferro di Ruini dovrà fruttare tanti ulteriori privilegi alla Chiesa che già succhia da tutti i livelli della pubblica amministrazione. Ma il premio più ambito non sarà la cancellazione dei pacs (già incassata) ma lo svuotamento della 194 ed ulteriori privilegi alla Scuola cattolica e di colonizzazione della scuola statale.Pietro Anconawww.spazioamico.ithttp://medioevosociale-pietro.blogspot.com/http://pietro-ancona.blogspot.com/

mercoledì 16 gennaio 2008

rosa luxemburg



la rivista di

La "Rosa Rossa"Rosa Luxemburg, donna di scienza di Sara Sesti

Biografia e opere, in inglese, nel sito dell' Enciclopedia del Marxismo - Esiste anche una sezione italiana.
Il Rosa Luxemburg Institut:, con sede a Vienna, ha un sito in tedesco, ricco di informazioni sui movimenti femminili
Alcuni articoli di Rosa Luxemburg e lettere dalla prigione (in inglese) nel Marxist Internet Archive
L'accumulazione del Capitale è edito in Italia da Einaudi, 1968, attualmente fuori catalogo. Se ne può trovarne una copia usata in rete presso la Libreria dei passi perduti.
Il 15 gennaio 1919 furono assassinati Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, due settimane dopo aver fondato il partito comunista in Germania. A 83 anni dalla morte, ricordiamo la "rosa rossa" non tanto per l'attività politica, quanto per il contributo teorico all'economia, una disciplina dove il contributo femminile è ancora scarso.
Rosa Luxemburg nacque a Zamosc nella Polonia russa nel 1871. Era l'ultima di cinque figli di una famiglia ebrea poverissima. Nell'infanzia fu colpita da una grave forma di sciatica, di cui risentì per tutta la vita. A 15 anni aderì al movimento rivoluzionario polacco; non ancora diciottenne dovette espatriare clandestinamente per sfuggire all'arresto. A Zurigo intraprese gli studi di scienze naturali, per poi passare a quelli di scienze politiche. Si laureò con lode presentando una tesi di storia economica, poi pubblicata, sullo sviluppo della Polonia. Dopo la laurea contrasse un matrimonio fittizio (si separò dopo qualche anno) allo scopo di acquistare la cittadinanza tedesca e poter così lavorare nel Partito socialdemocratico.
La giovane diventò presto uno degli agitatori più popolari del movimento operaio tedesco. Nel 1904 subì la prima detenzione, di tre mesi, per lesa maestà; tornò in carcere per qualche mese l'anno successivo, quando si recò a Varsavia in occasione della prima rivoluzione russa. Nel 1914 Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht (1871-1929) e altri, contrari alla guerra, uscirono dal Partito socialdemocratico tedesco che, come la maggioranza dei partiti operai dell'epoca, non si oppose alla politica di aggressione nazionalista realizzata dalle classi dominanti del proprio paese. Dalla scissione nacque nel 1916 la Lega Spartaco, che sarebbe diventata alla fine del 1918 il Partito comunista tedesco. Rosa Luxemburg, già incarcerata nel 1915 per propaganda antimilitarista, fu di nuovo arrestata e detenuta per più di due anni senza condanna, come misura di sicurezza.
In carcere studiò e scrisse; intanto scoppiò in Russia la rivoluzione del 1917, cui seguì in Germania una grande ondata di scioperi culminati nel novembre 1918 con l'abdicazione dell'imperatore. Uscita dal carcere in precarie condizioni di salute, Rosa Luxemburg fu animatrice dell'organo di propaganda spartachista "Rote Fahne". Ricercata dalla guardia civica del nuovo governo repubblicano guidato dai socialdemocratici, dormiva ogni notte in un albergo diverso, sotto falso nome. Nel gennaio 1919, dopo l'insurrezione "di Spartaco", i socialdemocratici posero una taglia di 100.000 marchi su Luxemburg e Liebknecht. Arrestati entrambi il 15 gennaio, furono assassinati durante il trasporto in auto al carcere. Rosa Luxemburg aveva 48 anni. Il suo corpo, gettato in un canale, fu trovato solo alcuni mesi dopo; le autorità riuscirono a impedire che fosse sepolto a Berlino, per timore di manifestazioni e incidenti.
La prima opera di Rosa Luxemburg fu L'accumulazione del capitale, pubblicata a Berlino nel 1913. L'autrice così ricorda:
Il periodo in cui scrissi "L'accumulazione" è tra i più felici della mia vita. Vivevo come in uno stato di ebbrezza, giorno e notte non vedevo e non sentivo altro che questo unico problema il quale si sviluppava così bene davanti a me, e non saprei dire cosa mi dava più gioia: il processo del pensiero, quando rigiravo una questione intricata passeggiando lentamente su e giù (...) oppure la stesura, il fatto di dare una forma letteraria con la penna in mano. (...) Ho scritto l'intero libro d'un fiato, in quattro mesi.
Questo modo di creare, tipico più di un'opera d'arte che di un saggio scientifico, ne fa un lavoro affascinante ma di difficile interpretazione. Rosa Luxemburg non aveva altra intenzione che quella di divulgare il Capitale di Karl Marx (1818-1883), convinta del fatto che l'economia politica vi trovasse il proprio coronamento. Ma partendo dal modello della riproduzione allargata del capitale, la studiosa spinse la propria analisi oltre il punto in cui Marx si era fermato, considerando la possibilità che gli investimenti dei capitalisti risultino insufficienti rispetto al livello di equilibrio dinamico. Ampliò lo schema marxiano in due sensi. Da un lato, considerò i paesi non capitalisti (nuovi mercati di sbocco che rendono possibile l'espansione capitalista, data l'insufficienza degli investimenti interni); dall'altro, esaminò l'influsso dello stato sulla produzione (tramite le spese belliche, finanziate con il prelievo fiscale). Fornì così un'analisi teorica dell'imperialismo.
Assieme a Tugan-Baranovskiy e a Nikolaj Lenin (1870-1924), Rosa Luxemburg è stata tra i primi a servirsi degli schemi marxiani di riproduzione del capitale, delineandone la validità universale e quindi anche per la pianificazione socialista. Ella ha anticipato l'analisi delle carenze di domanda effettiva degli economisti Michal Kalecki (1899-1970), che la studiò, e di John Maynard Keynes (1883-1946).Malgrado la sua importanza, L'accumulazione del capitale fu accolto con ostilità dai marxisti contemporanei. Le esigenze della propaganda e della lotta politica contingente prevalevano su ogni considerazione scientifica, tanto più su un tema allora scottante quale la possibilità di evoluzione e crollo del capitalismo. Per questo i dirigenti socialdemocratici, impegnati a dare un'impronta moderata al movimento operaio, considerarono L'accumulazione un libro dannoso e irresponsabile.

Sempre più Rosa
Tommaso Di Francesco
Sarà l'effetto disastro della Sinistra in Europa che brancola in cerca di sé, oppure il fenomeno, tutto tedesco, del nuovo ruolo della Linke che spaventa la Grande coalizione e spinge la Spd sempre più a sinistra, fuori dal governo con la Cdu. O sarà una metamorfosi della nostalgia per quei simboli che, anche se ufficiali, non erano certo amati dal regime dell'ex Germania dell'est. Sarà per tutti questi motivi o per nessuno di questi che soffia, sotterraneo, un timido vento di novità nella grande depressione del Vecchio continente. Sta di fatto che domenica, come ogni seconda domenica di gennaio, erano attese decine di migliaia di persone per ricordare a Berlino gli spartachisti Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, assassinati il 15 gennaio del 1999 dalle milizie del partito socialdemocratico al potere in Germania. Dicono le cronache che stavolta però al cimitero berlinese di Friedrichsfelde sono arrivati in più di centomila. Complice la giornata di sole, hanno sfilato tanti uomini e donne di mezza età, ma soprattutto tantissimi giovani, tedeschi, italiani, spagnoli, francesi. E poi, anarchici e no global. La banda ha suonato l'Internazionale e Bandiera rossa e ognuno ha salutato in cuor suo il volto dolce, malinconico e severo di Rosa Luxemburg. A tutti è sembrato che quello spazio di speranza conquistato già subito dopo la caduta del Muro, piuttosto che un baraccone rituale, una ricorrenza nel ricordo dei più amati - e più ricercati delle nostre belle figurine - sia stato uno spazio spalancato, un segnale lanciato nel cuore d'Europa.Se si cerca come alternativa, la sinistra non socialdemocratica può trovarsi, magari in un giorno di sole. Deve uscire dalle rappresentazioni ufficiali, scambiare ruoli di governo con figurine di movimento. E viceversa. Tentando forme nuove, di movimento e di governo. Farsi, se possibile, sempre più Rosa...




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domenica 13 gennaio 2008

rompere il monopolio cgil cisl uil

alleato naturale della sinistra "vera"che tuttora esiste in Italia anche all'interno del PRC o del PDCI e della sinistra democratica sono i COBAS.
Ma la sinistra ignora i Cobas, li ha cancellati dalla sua vista e con ciò commette un errore grave per se stessa e per l'Italia.
Dopo il rigido allineamento della CGIL alla dottrina del "patto per l'Italia". la stipula del protocollo del 23 luglio, il silenzio sull'infame pacchetto sicurezza, la difesa dello stesso contro i tentativi di miglioramento provenienti dalla sinistra, l'adesione alla linea del legame produttività-salari e dell'indirizzare la contrattazione italiana verso gli "individual contract", non è più possibile
sopportare il monopolio della rappresentanza detenuto da CGIL CISL UIL. Le tre confederazioni esprimono una politica omogenea di subalternità culturale al liberismo ed
alla Confindustria.
Il monopolio della rappresentanza delle tre confederazioni deve essere rimesso in discussione se non si vuole cancellare ogni benchà minima traccia di dialettica sociale.
La "normalizzazione" della FIOM è questione di tempo. Già la CGIL ha messo piede all'interno del gruppo dirigente ed è pronta alla successione. Bisogna quindi rivedere la questione del monopolio demolendo la legge Bassanini e la teoria incostituzionale del criterio della "maggiore rappresentatività".
Dal momento che la CGIL in rottura c on la sua lunga e a volte gloriosa tradizione di rappresentanza genuina della classe lavoratrice accetta la dottrina aziendalistica della CISL e la sua idea di sindacato conforme al sistema esistente, non esistono più possibilità di rappresentare i reali interessi dei lavoratori se non rompendo il monopolio ed allargando la rappresentatività in primo luogo ai COBAS.
E' utile sapere che l'area maggiormente colpita da discriminazioni ed atteggiamenti antisindacali del mondo del lavoro è quella occupata dai COBAS. I dirigenti Cobas stentano a sopravvivere nei posti di lavoro perchè oggetto di persecuzioni canagliesche tipo Valletta anni cinquanta. Spesso dirigenti COBAS vengono licenziati. Bisognerebbe
aprire una inchiesta ufficiale sulle sofferenze dei lavoratori che di iscrivono ai cobas e sulla persecuzione dei loro dirigenti.
Segnalo il problema all'attenzione di esponenti della sinistra perchè valutino con attenzione il problema e le possibili iniziative da assumere.
Pietro Anconahttp://medioevosociale-pietro.blogspot.com/http://pietro-ancona.blogspot.com/

appello per migliori salari e contro la detassazione indiscriminata


Appello di economisti e intellettuali contro un approccio solo fiscale al problema e perchéle detassazioni in discussione non ricadano sui lavoratori deboli e sul contratto nazionale
Bassi salari: cosa serve e cosa no
È un bene che la questione salariale sia oggi al centro del dibattito pubblico. A causa dell'inflazione e di retribuzioni del tutto inadeguate (in Europa solo il Portogallo si colloca sotto l'Italia quanto a livello dei salari), la condizione del lavoro dipendente nel nostro Paese è ormai insostenibile. Va detto tuttavia con chiarezza che non si tratta di una novità. Negli ultimi 25 anni la quota di ricchezza attribuita ai redditi da lavoro è diminuita di oltre 15 punti di Pil, mentre la quota attribuita ai profitti è balzata dal 2 al 16%. Dopo gli accordi del 1992-93, che abolirono la scala mobile e vararono la concertazione, circa il 3% del Pil (45 miliardi di euro in valori correnti) è passato dal monte-salari ai redditi da capitale. Non stupisce che nel corso di questo periodo il valore reale delle retribuzioni non sia cresciuto e per molte categorie sia addirittura diminuito.È dunque positivo che il tema dei bassi salari e dell'impoverimento delle classi lavoratrici sia al centro del confronto tra governo e parti sociali avviatosi dopo la pausa festiva. Meno positivo appare il modo in cui si intende affrontarlo affidandosi a misure di natura fiscale, quasi che controparte del lavoro non siano più l'impresa e le pubbliche amministrazioni, ma il Tesoro.Sono state avanzate proposte diverse, che vanno tenute ben distinte tra loro.Si è parlato di ridurre il carico fiscale sul lavoro dipendente e sulle pensioni attraverso un aumento delle detrazioni a beneficio dei percettori di redditi medio-bassi. Siamo favorevoli a tale ipotesi, fermo restando che la copertura degli oneri che essa comporta non potrà certo gravare sul lavoro e che di analoghe agevolazioni dovrà beneficiare anche la vasta platea dei lavoratori «dipendenti mascherati» (co.co.co., co.co.pro., associati in partecipazione e partite Iva), sinora esclusa da tutte le misure di tutela del lavoro dipendente. Ulteriori tagli alla spesa rischierebbero di tradursi in nuove riduzioni dell'offerta pubblica di beni e servizi, in ulteriori tagli allo Stato sociale, cioè in un'ulteriore diminuzione del salario reale. Per le detrazioni andranno pertanto impiegati i notevoli risultati ottenuti sul fronte della lotta all'evasione e le risorse che deriverebbero da una revisione del profilo ingiustificatamente restrittivo della politica di bilancio. Ma va altresì previsto un aumento del peso fiscale sui redditi da capitale (profitti e rendite, a cominciare dalle plusvalenze, che in Italia godono di un intollerabile regime di privilegio).Si parla anche di detassare gli aumenti contrattuali a partire dalla contrattazione di secondo livello. Questa proposta - non per caso avanzata in passato da forze del centrodestra - è a nostro parere sbagliata e pericolosa, e tale da comportare seri rischi anche sul terreno dei diritti del lavoro. Essa lascerebbe intatta la condizione lavorativa e retributiva di quanti lavorano in situazioni di apparente autonomia e di quanti vivono di pensione. Inoltre si inscrive nel contesto di una campagna volta a privilegiare la contrattazione di secondo livello (dalla quale resta oggi escluso circa il 70% dei lavoratori), in modo da collegare i salari alla produttività, incentivando attraverso la detassazione proprio la parte variabile e aleatoria del salario o, peggio, quella legata a non controllabili indici di bilancio. Ne deriverebbe la marginalizzazione di quel fondamentale strumento di redistribuzione e di solidarietà per il mondo del lavoro che è il contratto collettivo nazionale. Si realizzerebbe così il sogno del padronato: individualizzare il rapporto di lavoro e scaricare sui lavoratori i rischi d'impresa. Tutto ciò contribuirebbe a mutare anche la natura del sindacato, che - fatti propri gli obiettivi della competizione di mercato - cesserebbe di concepire se stesso quale autonoma rappresentanza del lavoro e quale controparte del capitale.Potremmo aggiungere altre osservazioni critiche. Riteniamo tuttavia che quelle sin qui svolte bastino suggerire la necessità di cercare altre soluzioni. La questione salariale nel nostro Paese discende dalla scelta del padronato italiano di ridurre al minimo costi, diritti e capacità conflittuale del lavoro. Non è la conseguenza delle presunte rigidità del modello contrattuale vigente né della scarsa produttività del nostro apparato produttivo. Che è un problema reale e di prima grandezza. Ma che consegue alla scelta di una parte cospicua delle imprese di destinare i profitti alla speculazione finanziaria piuttosto che agli investimenti in ricerca e innovazione. Sul governo incombe la responsabilità primaria di tener fede alle promesse (a cominciare dalla restituzione strutturale del fiscal drag e dall'innalzamento delle aliquote fiscali sulla rendita); di varare misure efficaci contro il carovita e la precarietà; di rinnovare in tempi rapidi il contratto dei dipendenti pubblici e di operare affinché vengano chiusi al più presto anche i contratti dei meccanici e del commercio. Occorre invertire la tendenza (che ha ispirato anche il Protocollo sul welfare) a premiare il salario di rischio e a favorire il ricorso agli straordinari. È necessario soprattutto smettere di incoraggiare le imprese nella ricerca di profitti facili, che prendono poi sistematicamente la strada della speculazione finanziaria.Al sindacato chiediamo di continuare a svolgere la propria funzione di autonomo rappresentante degli interessi di chi lavora e di controparte dei datori di lavoro, dai quali va preteso il rispetto dei diritti dei lavoratori, a cominciare dal diritto costituzionale a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato e sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Alla sinistra tutta, infine, compete l'onere di dimostrarsi all'altezza dei propri compiti e obiettivi. È necessario ottenere dal governo il rispetto degli impegni assunti e mettere in campo efficaci iniziative contro la precarietà e per il salario, a cominciare da nuovi meccanismi che garantiscano il recupero del potere d'acquisto eroso dall'inflazione. Di questo dovrà trattare il confronto con il governo, se non si vorranno nuovamente deludere le aspettative del mondo del lavoro e le stesse necessità del Paese. Mario Alcaro, Emiliano Brancaccio, Alberto Burgio, Bruno Casati, Paolo Ciofi, Aurelio Crippa, Piero Di Siena, Mario Dogliani, Luigi Ferrajoli, Gianni Ferrara, Giorgio Galli, Luciano Gallino, Francesco Garibaldo, Claudio Grassi, Dino Greco, Paolo Leon, Giorgio Lunghini, Alfio Mastropaolo, Gianni Pagliarini, Felice Roberto Pizzuti, Marilde Provera, Enrico Pugliese, Riccardo Realfonzo, Marco Revelli, Tiziano Rinaldini, Massimo Roccella, Rossana Rossanda, Ersilia Salvato, Massimo Serafini, Bruno Steri, Antonella Stirati, Aldo Tortorella, Mario Tronti, Katia Zanotti, Stefano Zuccheriniper adesioni: bassisalari@gmail.com12/01/2008

mercoledì 2 gennaio 2008

lettera a Valentino Parlato del Manifesto

Caro Parlato,

mi permetto di dissentire dal tono soft del suo articolo sul discorso presidenziale.
E' stato un discorso banale, vuoto, generico e sopratutto vile.
Si vile. In un'Italia tormentata dai demoni del razzismo avrebbe potuto in qualche modo alleggerire la pressione sui migranti accennando magari al significativo contributo del lavoro straniero al PIL italiano. Zitto e mosca! In un Italia oppressa dal Vaticano ha fatto finta di leggere nella Costituzione le pretese di Benedetto XVI. In un Italia che ha grandi problemi economici ha glorificato le nostre missioni di ascarismo usa
Parlare del malessere italiano in termini generici è falso. Falsifica la situazione. Il malessere non è italiano ma di quegli italiani che vengono impoveriti ed emarginati dalla feroce politica liberista che dal 1993 ad oggi ha creato salari di fame con il concorso consapevole di sindacati di regime ( di regime a seguito della famigerata legge Bassanini).
Parlare di crisi della democrazia senza dire dove è la crisi è demagogia. Se i politici italiani non si fossero organizzati in Casta nazionale non ci sarebbe crisi. Se i partiti più grossi non volessero fottere a tutti i costi la sinistra facendo la polemica con i piccoli ricattatori non ci sarebbe crisi.
La crisi nasce dalla tentazione oramai immanente di limitare la democrazia con una legge elettorale fasulla e tante Patriot Act come quella vergognosamente varata giorni fa per decreto.
Infine, a proposito di poltiglie e delle stupidaggini del Censis che fa dell'impressionismo sociologico ad usum delphini la prego di desistere dall'indicarcele come mirabolanti analisi
Il Censis si è inventato un linguaggio impressionistico appunto per evitare di dire come stanno realmente le cose per chi sta sotto. Allora mescola tutto come un barman veterano e ci propina le sue immagini che per fortuna evaporeranno presto dal momento che sono bolle, soltanto bolle...
Cari saluti e buon anno a lei ed al Manifesto che tanto amiamo.
Pietro Ancona